La clessidra sbagliata

La clessidra sbagliata

Oggi parlando con un gruppo di persone che mi raccontavano una loro vicenda ho avuto l’opportunità di riflettere sulla percezione soggettiva del tempo. Non il tempo che l’adulto ha imparato a gestire da regista autonomo e, talvolta, abile della propria giornata; non il tempo che la donna moltiplica, regola, camuffa e inventa, manovratrice eccelsa di pieni e vuoti, acrobatica e meritevole condottiera del proprio e altrui divenire. Ho pensato al tempo che nessuno programma e dispone, tantomeno prevede nel proprio sognato e luccicante volteggiare su questa terra; è il tempo che appartiene alla categoria del dolore, quello che non si sceglie, che non fa mai parte del nostro immaginario, per il quale non siamo preparati, ma forse programmati.

Già, il tempo della malattia, della libertà negata, della sofferenza. Quel vuoto in cui non siamo registi, non siamo padroni, siamo nuovi e increduli spettatori di noi stessi, attoniti osservatori dell’accadere. Eppure, in quelle particolarissime vicende raccontate, ho scorto in coloro che le avevano vissute una capacità incredibile e assoluta che rasenta l’impossibile: la capacità d’inventare pur di resistere. Ho ascoltato vicende di uomini, costretti per provvedimenti disciplinari, ad un periodo lungo di isolamento, soli in uno spazio piccolo in compagnia del niente. Ebbene, nella privazione del proprio personale trascorrere, nella negazione di ogni forma di interazione o svago, l’uomo che decide di non soccombere al tempo svuotato e al macigno annientatore della sofferenza, conserva la possibilità di scegliere.

Non sceglie cosa fare, ma decide come fare per manipolare il vuoto e farne strumento e ancora di salvezza. Manovra il timone ed elabora strategie, inventa una traiettoria parallela e la percorre, perché conduce alla vita!

Si dedica incessantemente ad una pulizia accurata dello spazio in cui vive, costruisce utensili con il poco che ha, allena il proprio corpo, segue il percorso e le mosse di un topo che osserva dalla finestra, ne studia le reazioni, impara a prevenirle, scrive di se’, di ciò che è e di ciò che sarebbe potuto essere se il gioco beffardo del destino gli avesse concesso un altro dove in cui nascere; esercita l’immaginazione di un altrove in cui perdersi e, oltre le sbarre, pregustare l’infinito in cui terra e cielo si fondono nell’immensità del conosciuto e amato.

Alla fine vince! Vince la sfida singolare di un tempo dilatato e pesante che avrebbe voluto distruggerlo e stritolarlo nei suoi gangli devastanti che conducono alla follia e alla perdita di se’; vince contro l’incognita di un nuovo tempo da gestire e da cui non farsi gestire, dominatore e non dominato. La lezione è esaltante! L’uomo che percepisce il pericolo, qualunque esso sia, possiede potenzialmente l’opportunità concreta di esorcizzarlo e contrastarlo con una strategia pensata ed attuata, con la forza del pensiero che regola e programma le azioni che si susseguono con un calendario meticoloso nell’arco della giornata riempita.

Quando la vita rovescia la nostra barca, alcuni affogano, altri lottano strenuamente per risalirvi sopra. Gli antichi connotavano il gesto di tentare di risalire sulle imbarcazioni rovesciate con il termine “resalio”. Forse il nome della qualità di chi non perde mai la speranza e continua a lottare contro le avversità, la resilienza deriva da qui. (Pietro Trabucchi)

Eccezionale la capacità adattiva della donna e dell’uomo, di tutti coloro che scelgono con determinazione e coraggio di affrontare la sfida della vita!

Alessia

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Alessia Machì

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