Alessia Machì – MANI

Alessia Machì – MANI

Ovvero l’insalata di Freud. Comodi comodi, non è al buffet, qui si fanno le cose per conto di storie ben apparecchiate. Prendiamo qualche sedia sfuggita all’euforia del falò rituale di una festa di marzo e alcuni tavoli da conversazione e ritrovo di commensali, di quelli che hanno permesso andirivieni  dialoganti, consegne di promesse e pietanze stagionali da un estremo all’altro, disillusioni e conquiste. S-fogliare vicende e situazioni, aggregarle, sorprenderle e svelarle nella loro complessità sarà compito di Vittorio, determinato a non intiepidire la sua ricerca di vita, ad osservare i quattro canti delle scelte predisposte da tovaglie ataviche e lasciare desideri e paure degli altri agli altri, che ama rispetta sente cari, mai quanto – però – gli appunti presi per capirne qualcosa della mente umana e della felicità. Un taccuino, per le incertezze da sedicenne, per le intuizioni da studioso, parole nette fra le pagine perché non appassiscano, ma restituiscano la rosa fresca e aulentissima della propria irripetibile anima a chi si sporge dagli inverni. Agli undici tavoli, disseminati come galassie incomprensibili, su una via antica irresistibile a passanti nuovi, nomi o simboli che li riguardino. Maria, Nicoletta, Letizia, Le madri, I dottori, I treni, Le lettere, Le domande, Le anfore, I padri, L’autrice. Qua e là si ripropone, con sue misure torrentizie o abissali, la metafora divertita de La vampa di San Giuseppe, il capitolo 3 di questo rigoglioso romanzo, il germoglio che divampa, brucia dentro, fa volare. Un viaggiatore s-considerato, ama la costa, i suoi bordi, le rientranze e i paradossi. Il cuore che s’innamora è controluce di una mai nominata Palermo, pensata da Alessia Machì – ci par di ravvisare -, nella sua natura fenicia, costiera, aperta, forzata dalla storia nell’emblema della sua più nota via storica, che da una porta antica scende dritta al mare, ambientazione prima della casa di Vittorio. Costretta ad allontanarsi dalla sua radice silenziosa, la distorsione di una forma, gradita alle semplificazioni degli uomini e della cosiddetta società, non lascia scorrere l’amore, lo frena, lo inibisce. Che si tratti di una vita o di una città intera. Il ragazzino della famiglia semplice, che sogna di diventare psichiatra, si fa contrasto fra la comunità che lo ha  cresciuto e il singolo che aspira ad essere. Con la dolcezza di un caramiddaro osserva le mani di chi incontra, il delta distinto nei suoi rami di un fiume, che in-forma il mare del proprio ingresso, nel quale si confonde e identifica. 120 pagine scorrono nel gran misto che siamo, narrate dal tempo, inesorabile, ma mutevole e cangiante, quando la parola l’ascolto e la verità incantano pure lui con la loro grandezza.  La scrittura, cinematografica e poetica, libera affondi e ritratti, accompagnando con acqua e zammù la magia della lettura.

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Cristina Picciotto

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