Succursali della memoria
La succursale del Liceo ginnasio “Vittorio Emanuele II” sorgeva e sorge ancora nel Vicolo del Giusino, piccola traversa di Corso Vittorio Emanuele. Non ha l’appeal della “centrale”, il cui prospetto si mostra, candido e senza tempo, di fianco alla Cattedrale. L’interno tradisce un passato nobile da collegio con aule spaziose dai soffitti alti intitolate, probabilmente, ad
alunni meritevoli. Ricordo ancora il mitico Lanza Filangeri Giuseppe, il cui nome campeggiava su una targhetta, forse in stucco, posta su una delle pareti della “aula versioni”. Sì, al ginnasio qualche volta ci facevano svolgere la versione in classe in un’aula abbastanza grande da consentire a una ventina di alunni di stare seduti uno per banco e a debita distanza gli uni dagli altri, tanto da impedire/ scoraggiare possibili tentativi di
copiatura. L’intero edificio scolastico trasmetteva l’idea di una solennità ormai decaduta. La decadenza si manifestava impietosamente al terzo piano, dove si trovavano le aule del corso B. Lasciando perdere il fatto che durante l’inverno faceva un freddo pazzesco, quando pioveva poteva assistere a un fenomeno alquanto “pittoresco”: lungo il corridoio venivano
collocati secchi e bacinelle con lo scopo di raccogliere l’acqua che si infiltrata dal tetto. Per il resto, l’ampiezza della scalinata che percorrevamo tutte le mattine e l’ambiente serioso e tendente al tetro, conferivano alla succursale un’aura tutta particolare che faceva sentire ad alcuni di noi (non a tutti, per fortuna, c’erano anche persone normali) di appartenere a una sorta di compagnia segreta di depositari di un sapere di nicchia. Regina della succursale era Caterina, una bidella (oggi si direbbe “collaboratrice scolastica”). I bidelli nelle scuole sono sempre stati importantissimi. Uomini o donne che siano, quando sanno fare bene il proprio lavoro, riescono risolvere situazioni difficili e diventano personaggi mitologici la cui
importanza arriva ad essere pari quasi a quella del preside. Fino agli anni ’90, prima che si diffondesse il morbo delle macchinette all’interno delle scuole, i bidelli erano distributori umani di carta igienica, fogli protocollo, assorbenti e caffè. La guardiola di Caterina si trovava al primo piano, vicino alla sala professori. Ricordo di averla vista spesso lì dentro intenta a sferruzzare a maglia davanti a una stufetta elettrica, probabilmente sotto lo
sguardo indagatore di un santino di padre Pio. Di fronte alla sua guardiola c’era una sorta di camerino con un fornellino che Caterina usava per preparare caffè ai professori a metà mattinata. Non era una donna molto alta, ma non passava inosservata, sia per l’aspetto fisico sia per la tempra. Era rotonda, ma non obesa. Indossava, pesanti calzettoni su quelliche oggi si chiamano leggins ed un maglione, uno scialle che lei stessa aveva confezionato e un berretto. Aveva le sue idee, chiare e precise, che esprimeva in modo altrettanto netto. Nel dicembre del 1993, durante l’occupazione bianca della scuola contro il ministro Jervolino, Caterina una mattina, mani sui fianchi e aria minacciosa, ci chiese: “Allora,
quando deve finire tutto questo bordellino?”. Un’altra volta le chiedemmo di aiutarci a far vomitare una compagna che stava molto male. Lei, lamentandosi perché la stavamo distogliendo da altre incombenze, preparò un intruglio micidiale a base di caffè con sale e limone e ci consegnò la tazzina dicendo: “Ora itivinni ca ci rumpistivu i cabbasisi!”. Caterina
amava la scuola, la considerava un po’ casa sua, al punto che qualche volta, intorno alle 11:00, si diffondevano all’interno della succursale inconfondibili odori di cibo che non si capiva da dove provenissero, finché un giorno fu svelato mistero. Il nostro professore di greco, che era anche fiduciario della succursale, entrò in classe sconvolto per aver subito un
tentativo di corruzione: “Ragazzi, stamattina verso le 11:30 mi ha fermato Caterina – Profissuri – mi ha detto – ci dice anticchia ‘ipasta c’a sasizza a me’ figghiu chi smunta ‘i muratori a menzjuarnu, a volj tastari?”. Caterina
era capace di tutto e c’era da rispettarla e tenerla, forse per questo un giorno cui lo stesso professore ci disse: “Ragazzi, non potete capire cos’è successo… L’INCREDIBILE… un
ragazzo ha tentato di scippare Caterina!!!”, noi esclamammo immediatamente: “Noooo! Mischinooo!!!”. Il professore ridendo si prese la testa tra le mani e commentò: “Come si fa a
scippare Caterina???”, a quel punto noi chiedemmo curiosi: “E… com’è finita?”. Il professore, allargando le braccia, rispose: “L’ha preso a legnate…”.
Eva Picciotto