Unplugged
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La piazza, di norma indifferente alle vicende dei tetti intorno, si ammutoliva per graduale assenso ad uno spettacolo raccolto, dando il meglio di sé, come un quadro sullo sfondo, una grande impalcatura pubblicitaria, ferma e cangiante di écru agli sbalzi di un tramonto lontano.
Diveniva così parete divisoria dal mondo e atrio ai rifugi personali dell’altro che era il vero pensiero, sospeso da sogni implacabili, nutrito di immagini viste davvero, in quella stanza dagli infissi di legno caldo ventilato da tele chiare.
Fece un giro sui sandali, come sabbia combinata ai colori che degradavano dalle finestre, e preferì sedersi, arrendersi adagiata ai nuovi cinque minuti di quel tempo in discesa di senso. Sulla sedia di fronte alla sua, con le spalle a schermare il sole delle sette, lui era pronto con la sua chitarra, per un assolo fuori programma.
Silenzio assoluto. Arpeggio voce accordi passaggi dolci, coraggiosi, pieni, delicati. Le corde sembravano moltiplicate e il canto sarebbe bastato da solo a dare emozione. Non riusciva a guardarlo per più di un secondo, come per non infrangere l’incantesimo di quel concerto solo per lei. Ma riusciva a guardare cosa gridava dentro, trascinato dalle lacrime, come pioggia davanti ad altre scene che, liberate e indiscrete, si confondevano con la passione di quella preghiera angelica. La bellezza era tornata. Per quella sera aveva un senso tornare a casa.