Altri tempi

Altri tempi

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Roma. Mia madre giocava a tennis, quando era giovane, non so che età avesse e che cosa intendesse per giovane. Di mattina presto, a suo dire prima di andare a scuola, in un campo pubblico, senza società e sponsor. La sua incoscienza, il suo slancio alla vita, una non curata sagacitas. Tanta innata eleganza e un avversario dall’altra parte del campo. Nei suoi racconti il vero misurato orgoglio di queste opportunità generose offerte dalla sua amatissima città, la Lazzarino, promessa del tennis italiano in gara. Che si allenava con questa bionda riccia, occhi verdi puntati, scattante. 40 / 15, punto per una delle due. Per mia madre c’era fame aria di guerra e povertà. Tempi del mercato nero, dei vestiti cuciti a casa, del sospetto della gentilezza dei passanti, seppur a modo. E allora mia madre non portava a casa, mia nonna non le raccomandava altro, il pane promessole da un pubblico fedele di due spettatori, tedeschi, perché questo era il nome del nemico. Per quello spettacolo, così inaspettato ed esclusivo, fra racchette in sfida, che sembravano segnare un tempo a parte nel loro svettare e roteare nell’aria non schierabile in alleanze storiche. In questi giorni ho indossato un cappotto che mi piace tanto, che mi ricorda qualche momento inaspettato esclusivo, bellissimo, che elude il tempo reale. Dismesso, sembra di dieci anni fa e non lo è. L’ho stretto in vita, pensando cosa sia recuperare, rivalutare, soppesare. Nel buio di un pomeriggio desolato, con pochi negozi autorizzati a vendere, ho cercato di sentire quel freddo antico. Quello della povertà e della guerra, che adesso, insieme a inorgoglite citazione manzoniane o da Decameron da parte dei più, ci offre le coordinate per raffigurare con un preesistente immaginario le file al mercato, o un riedito dicembre dalle finestre di una sera di marzo. Dalle vetrine spente la Moda subiva il suo linguaggio come in un dialogo leopardiano. Altri tempi cercava un silenzioso canto.

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Cristina Picciotto

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