Estate
Sei del mattino. In spiaggia solo il mare. Impronte morbide diventano un leggero passato sempre più distante, mentre dondolano fra le dita infrasole di luna, stile anni 60. L’andirivieni dell’acqua porta freschezza e trasparenza d’abisso, a quei passi, lenti e silenziosi, risveglia domande, consegna risposte per pochi secondi. Ripassa, dove è segnato il suo inizio, scrutandolo come una novità, riconoscendolo come un oggetto antico, lo indossa come il suo giorno migliore e questa volta, che la solitudine non significa abbandono, chiede, chiede ascolto per i suoi pensieri, in giro da anni, fra i pianeti, gli occhi degli altri, resistenti al buio, raggiungibili dal canto. Apre la porta di casa, la macchina, una borsa, un borsellino, una maglia, una scatola, una busta, una lettera, una finestra, un discorso, un conto. Scrive, alla madre, ai figli, al suo cuore, ai pianti rinnegati, ai giorni belli, spensierati, in cui faceva tutto, alle delusioni, dietro le fotografie scattate dal suo sguardo, il disincanto, la speranza. Guarda la piantina rimasta su un ripiano in prestito, cosa l’aspetta ancora, chi la sta cercando, le stanze, le piazze, le vie, eterne come una capitale, di passaggio, come i compleanni e le vacanze. Racconta un film, il giorno prima e com’è andata. Porta fiori ai suoi capelli, raggiunge il sole sull’arco che l’ha vista passare sui tempi raccolti nel secchiello colorato di una ridisegnata Rimini. O forse il sole raggiunge lei, il 21 giugno. Ariosa, di amore, felicità e luce, mette i sandali. Come solo a lei potrebbero stare.