In un tempo che non c’è più – Quarto tempo

In un tempo che non c’è più – Quarto tempo

Segue Marzo, video di Giorgia

Nereo si alzò dal trono e con voce dura ma tradita dallo sguardo commosso, disse, rivolgendosi alla maggiore delle figlie: “Glauce, figlia mia, cosa hai da dire? Dove siete state? Dove avete trascorso la notte? Abbiamo pensato che vi avessero rapite, ma il vostro aspetto, fresco e leggiadro come sempre, non lo lascia certo supporre! Vostra madre e la corte tutta – continuò alquanto indispettito – siamo stati travolti dall’angoscia e dalla paura che vi fosse accaduto qualcosa di irreparabile. Su, parla!” Glauce, allora, avanzò verso il trono e inginocchiatasi ai piedi del padre, chinando il capo disse: “Padre, madre e voi tutti che siete qui presenti, vi chiedo perdono, a nome mio e delle mie sorelle, per il dolore arrecatovi a causa di una nostra leggerezza. Sì, perché di leggerezza si è trattata: volevamo vedere il mondo che c’è al di là di queste acque e abbiamo deciso di allontanarci, all’insaputa di tutti.” Poi, alzando il capo, continuò: “Ieri notte, quando tutto il castello era già addormentato e le luci spente, abbiamo raggiunto il giardino delle ostriche e delle stelle marine dalla porticina laterale, aperta perché la sera ci dilettiamo a chiacchierare e a raccogliere le perle”. E nel dire così, scosse la lunga chioma fulva intrecciata alle perle che, tintinnando, diedero vita a una dolce melodia. Rincuorata dal silenzio paterno e sicura del suo fascino, riprese: “E così, senza che nessuno ci vedesse, abbiamo attraversato il fossato di alghe velenose sul guscio vuoto di una conchiglia e siamo arrivate in mare aperto”. “Brave! Brave davvero! – tuonò re Nereo – La fuga attraverso il giardino! oltrepassare il fossato delle alghe velenose! Il mare aperto! E per fare cosa? Per vedere il mondo? Ma quale mondo?”. E mentre parlava, si alzava dal trono e poi si risedeva; passava il tridente da una mano all’altra e nel frattempo con quella libera si assestava la corona che scivolava a ogni movimento del capo. Finalmente, dopo un bel po’ di tempo, riprese il controllo e disse con voce ferma: “Bambine mie, ve lo chiedo come padre e come re: Cosa vi ha spinto a fuggire da un luogo sicuro per cercare di conoscere luoghi ignoti? Quale mondo volevate vedere? Qui, a casa vostra, vi mancava qualcosa?”. La regina Doride, che fino a quel momento non aveva proferito parola, non diede a Glauce il tempo di rispondere e subito disse: “Forse mancava loro la libertà. Il castello e l’isola in cui vivono è il solo luogo che le nostre figlie conoscono. Ma quante volte – continuò la regina rivolgendosi al re e alla corte – abbiamo raccontato loro di paesi magici abitati da creature diverse da noi; di posti incantevoli dove è possibile vedere fiori e piante che qui non fioriscono; di acque così fredde e profonde da diventare solide? Forse avrebbero voluto vedere tutti questi luoghi! Non è forse così, figlie mie?”. Glauce rispose per tutte: “Si, madre. Qui, è vero, non ci manca nulla e non volevamo certo fuggire! Ci siamo allontanate per vedere se esistevano paesi e luoghi diversi da quello in cui viviamo da quando siamo nate. Volevamo viaggiare e guardare con i nostri occhi le creature a quattro zampe e quelle che volano, sentire il profumo dei fiori e le melodie dell’aria, ma – continuò chinando il capo e abbassando la voce – il nostro viaggio è terminato non appena la conchiglia che ci trasportava si è incagliata in uno scoglio e da lì non si è più mossa”. “Che sciagura!” – disse un alto dignitario di corte; “Che disgrazia, rimanere sole nel buio della notte!” – gli fecero eco le damigelle; “Si, davvero! Proprio così! Veramente terribile!” – assentiva la servitù. Una voce forte e sicura si levò tra tutto quel vocio e si fece subito silenzio. “Perdonate Maestà, ma a questo punto devo intervenire – disse re Tritonio facendosi avanti – questa è la verità: abbiamo trovate le principesse ai confini dell’oceano di ghiaccio e lo scoglio su cui si è arenata la conchiglia è stato provvidenziale, perché ancora qualche metro e sarebbero state inghiottite per sempre dalle gelide acque”. Un “Oh!” di sgomento risuonò nella sala. “Il vostro esercito – riprese Tritonio – non poteva trovarle, perché densi vapori avvolgono quei luoghi e spesso i richiami di aiuto non riescono a penetrare quella spessa cortina. Noi tritoni possediamo un udito particolare che ci permette di attraversare l’aria più densa e, per fortuna, abbiamo sentito un segnale: il fischio intermittente e prolungato di un pesce fischietto ci ha condotto da loro. Le abbiamo trovate meste e angosciate, non di certo per la paura di morire ma a causa del dolore che la loro scomparsa vi avrebbe arrecato. Questo è tutto – continuò – e ora attendo che rispettiate il patto stabilito”.

Nereo guardò a lungo Doride, sorrise e posò la mano su quella di lei, poi rivolgendosi alle figlie disse: “Figliole, poiché l’esercito tutto non riusciva a trovarvi e poiché ero quasi sicuro della vostra scomparsa, ho accettato l’aiuto offertomi da re Tritonio, con la promessa che se lui e i suoi ventinove compagni vi avessero trovate, avrei acconsentito a darvi loro in moglie. Ho stretto con lui questo patto, è vero, ma sono pronto a ritrattare, con tutte le conseguenze che ne possono derivare, se anche una sola di voi non vorrà questa unione. – E girandosi verso la regina continuò – Doride, adesso parla tu alle nostre figlie. Una madre conosce bene il linguaggio del cuore”. Con grazia e movenze armoniose, la regina si avvicinò alle figlie, abbracciandole una per una, poi con voce forte e decisa disse: “Prima di tutto vorrei dirvi che sono fiera per il vostro comportamento coraggioso e composto in un momento di assoluta gravità; e inoltre doppiamente felice perché vi hanno ritrovate grazie ai pesci fischietto che ho aggiunto nei vostri monili come portafortuna. – Poi, ritornando a sedere sul trono, continuò – Approvo incondizionatamente le parole di vostro padre ma permettetemi di aggiungere ancora qualcosa. Un genitore, sia re sia servo, desidera la felicità dei propri figli, anche se andranno via da casa, in un paese lontano e con compagni diversi da quelli che avevano sognato; ma proveranno gioia al pensiero di saperli felici e contenti della scelta fatta. Per questo motivo, figlie mie vi chiedo di pensarci bene prima di rispondere, perché facilmente ci si può innamorare, ma mantenere negli anni un amore, comporta allo stesso tempo gioie e rinunce. Se siete pronte a affrontare il futuro insieme ai tritoni che vi hanno salvate, nel rispetto e nella comprensione delle altrui diversità, vostro padre e io saremo pronti a festeggiare queste nozze”. Subito le fanciulle si riunirono in cerchio e, dopo aver confabulato a lungo, fecero cenno a Glauce di parlare. “Vostre Maestà – iniziò Glauce inginocchiandosi dinanzi al trono – ancor meglio padre, madre, mi hanno affidato l’incarico di comunicare la nostra unanime decisione: abbiamo pensato di accettare la proposta di matrimonio dei tritoni, anche se sappiamo già che questa scelta ci porterà lontano da voi e dalla nostra terra. Abbiamo molto apprezzato, anche nei momenti concitati del ritorno, la discrezione e la delicatezza di comportamento di coloro che ci hanno salvate; molti affermano che i Tritoni sono rozzi e volgari e per questo motivo scoraggiano le unioni con le Oceanine, ma noi non possiamo dare credito a affermazioni generiche, nate da antichi pregiudizi”. Dopo queste parole, Glauce con un segno d’intesa chiese a re Tritonio e alle sorelle, con i rispettivi tritoni, di raggiungerla e in coro: “Benedite le nostre nozze – dissero – e saremo felici!”. “E sia! Si organizzi la festa! – risposero il re e la regina – Lunga vita e felicità agli sposi!”. “Lunga vita e felicità!” esclamarono per tre volte i presenti. La sala del trono si svuotò rapidamente, Tritoni e Nereidi non se ne accorsero nemmeno: finalmente potevano baciarsi!   

Licia Adalgisa Callari

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