Muriel – 19 Gli angeli la danno a bere
Dopo una notte trascorsa a sognare voli extra-corporali in compagnia dei suoi amici, Laura si svegliò scossa dal suono della sveglia, con il primo pensiero subito pronto a dettare ordini: recuperare il POF dalla bacheca della scuola e fotocopiare la pianta dei quattro padiglioni. Occorreva un’idea immediata. «Violet!? »,fu la prima parola di Laura. «Buongiorno principessa! Ho già un piano, non ti preoccupare. Più tardi mi trasformerò nella signora Germana, la bidella del piano superiore, in modo da poter fare indisturbata le fotocopie, tanto ambite, in segretaria e a te basterà venire a ritirarle». ripose Violet, sperando di rincuorare la ragazzina, ancora semiaddormentata
«La signora Germana? E come farai?», balbettò Laura, stropicciandosi gli occhi.
«Dimentichi che sono un angelo, posso prendere le sembianze di chi voglio. La bidella fa al caso nostro!».
«E se, in contemporanea, arriva la vera signora Germana?», obiettò Laura, balzando dal letto per andare a prepararsi.
«Beh! Faremo in modo che non succeda, gli altri angeli faranno squadra. Perfetto, no?».
«Senza parole. E io come devo agire?».
«Mi raggiungerai alla fine della scuola. Se qualcosa va storto, te lo farò sapere con il pensiero, quindi tu stai in campana. Tuo padre è già pronto, vai!», suggerì l’angelo scuotendo le ali.
«Va bene, sarò più veloce della luce».
«Come sta la tua professoressa di educazione fisica?», chiese il signor Loreto, simulando indifferenza, con le mani ferme sul volante e sorvolando sui tempi di attesa dei preparativi della figlia.
«Bene! Anche lei mi ha chiesto di te», rispose Laura, guardando di sottecchi il padre.
«Davvero?», esclamò il signor Loreto, girandosi giusto un secondo verso la figlia.
«Certo, ho anche risposto che non sei stato tanto bene per via di un non chiaro malessere, un po’ allo stomaco, un po’ alla testa».
«Che cosa le hai detto?!», protestò il padre con il falsetto della voce, decelerando per accostare.
«Papà, non mettere la freccia, sto scherzando, come puoi pensare una cosa del genere! Le ho dato una risposta formale: le ho detto che stai bene, che sei molto impegnato con il lavoro e che sei il miglior papà del mondo». La macchina proseguì allora fino a scuola, mentre i due ridevano, ognuno per conto proprio. Il solito bacio affettuoso e la ragazzina scese dall’auto, ritrovandosi di fronte alla cancellata della scuola. La vista dell’istituto e la mansione che l’aspettava quella mattina le fece venire il batticuore e rallentare il passo. Laura ebbe la sensazione di essere cresciuta improvvisamente. Solo un mese prima il suo unico pensiero erano i compiti e i professori, ora invece aveva mille altre cose a cui pensare. Quelle bizzarre e insopportabili domande che repentinamente suo padre le poneva riguardo la sua prof di educazione fisica e che le provocavano una brutta sensazione nello stomaco, la missione segreta con gli angeli e i suoi amici e le percezioni negative, che la pervadevano sempre più spesso. Si girò attorno per vedere se vi era qualche viso conosciuto: incrociò lo sguardo di Henry che la stava aspettando e lei non si fece attendere. Lo raggiunse a passo veloce e, tirandolo in disparte dalla mischia degli studenti sparpagliati a gruppetti davanti all’ingresso, gli confidò il piano di Violet, assicurandosi che non lo riferisse a nessuno. Gli confessò anche di avere una certa adrenalina addosso mista a tanta paura: ma non intendeva affatto tirarsi indietro. Henry da parte sua la informò che John era già in istituto con il suo compito speciale di ricerca. Quindi ognuno andò nella sua classe. L’ora di italiano fu per Laura interminabile. Con gli occhi puntati sull’orologio, cercava di immaginare cosa stesse facendo Violet, ma l’ansia divenne supplizio, nell’attimo in cui l’angelo le disse con il pensiero che si stava trasformando nella signora Germana. Le toccò un richiamo dell’insegnante. Annuì e valeva per l’una e per l’altro. Frattanto, in un punto non lontano dalla classe di Laura, Violet commentava con il sopraggiunto Lavander la qualità delle sue nuove sembianze, portando un po’ di movimento nell’antibagno dei docenti, dove gli angeli si erano piazzati di prima mattina per dare il via alle operazioni. «Nessuno mai potrebbe dire che tu non sia la signora Germana. Sei lei, non c’è che dire», canterellò Lavender osservando compiaciuta Violet. Nessuno si accorse di cosa stesse accadendo in quel piccolo spazio. «Questo il mio tragitto – disse Violet con le mani in direzione della porta e tono autorevole per l’angelo collaboratore -. Atrio, corridoio, scendo di sotto, prendo il POF dalla bacheca, salgo in segreteria e fotocopio le pagine che ci interessano. Tu nel frattempo tieni d’occhio la signora Germana e con l’invio mentale mi tieni lontano dai suoi spostamenti. Se dovessi vedermi potrebbe urlare dallo spavento oppure piombare di botto sul pavimento, mandando all’aria il nostro piano – commentò con un sorrisino divertito -. Quindi aureola attiva!». Lavander volò in avanscoperta e, dopo essersi assicurato che la bidella era forse negli scantinati a sbrigare delle mansioni per il preside, diede il via libera a Violet che entrò in scena. Scivolato rapido nel corridoio, rispose al saluto dei primi professori incrociati, si accorse che la porta della segreteria era aperta, diede un‘occhiata all’interno e intravide il preside, che in quell’attimo si girò accorgendosi della signora Germana, che non poteva certo immaginare fosse il perfetto inganno di una trasformazione angelica; quindi le si rivolse con assoluta naturalezza: «Signora Germana, ha trovato quello che le avevo chiesto di cercare?», Violet si pietrificò, e sentì il suo viso andare in fiamme all’avvicinarsi del preside. «Che ha Signora? Sta male, ha il viso rosso fuoco è successo qualcosa? UHM! Vedo anche che si è cambiata di abito… », Violet si pietrificò, osservò i vestiti, quando sentì una voce accanto a sé
«Digli che ti ha chiamato tua figlia e sei dovuta uscire e quindi ti sei cambiata, ma che ora ti stavi dirigendo a cercare quello che il preside voleva»la, voce si annullò e Violet aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì nessun suono, poiché ebbe coscienza che Laura voleva notizie. Violet, dal rosso fuoco, assunse un colore bianco panna, non sapeva più come muoversi, davanti a lei il preside che la invitava a sedersi, nelle orecchie gli incitamenti di Lavander e nella mente il richiamo di Laura.
«Signora mi segua in presidenza, vedo che non sta per niente bene», disse, risoluto e preoccupato nello stesso tempo, il preside.
«Rispondi Violet », gli sussurrò Lavander
«Preside io vo… », ma l’interferenza della chiamata di Laura la fece nuovamente interrompere.
«Venga la prego», e fermandosi davanti all’uscio della presidenza, lasciò passare Violet che oramai camminava come un automa.
«Si sieda»
Violet rimase rigida, ma vista la faccia sempre più corrugata del suo superiore, si sedette senza replicare. Il preside si accostò ad un tavolino, sul quale era poggiata una bottiglia d’acqua, ne versò un po’ in un bicchiere e avvicinandosi alla falsa Signora Germana glielo porse . A questo punto l’angelo non seppe più che fare, gli angeli non bevono… Come d’incanto dal nulla una voce vicina a sé le suggerì qualcosa: «Muovi la bocca e fai finta sorseggiare, parlo io al posto tuo. Il preside non si accorgerà di niente». Violet nel riconoscere la voce di Lavander si rincuorò e iniziò ad esprimersi in play-back:«Grazie signor preside, ora mi sento meglio.,diss»e risoluta la voce accanto a lui, mentre Violet continuava ad aprire e chiudere le labbra. « Sa soffro di pressione alta. Poco fa volevo spiegarle che stamani, dopo che lei mi aveva chiesto di svolgere quel compito, mi ha chiamato mia figlia che era rimasta fuori di casa e quindi sono dovuta uscire ad aprirle la porta. Per questo motivo, mi sono cambiata e ora mi stavo dirigendo a cercare ciò che mi aveva chiesto. Anzi, se permette, vado perché poi suona l’intervallo e non posso più fare le fotocopie»
«Che centrano le fotocopie con il Quadro del bene e del male!?», esclamò urtato il preside
«No, scusi ho sbagliato, volevo dire che poi con tutta calma…..»,
«Che cosa ha detto? il Quadro del bene e del male?» esclamò la voce che continuava a parlare al posto di Violet, mentre questa era letteralmente a bocca aperta per le gaffe fatte dalla sua finta voce. Ma l’errore ormai era partito. «Il quadro che le ho detto di cercare negli scantinati. Ma lei è ventriloqua, parla senza muovere le labbra?», aggiunse sbigottito il preside facendo recuperare la voce a Violet che parlò sopra la voce di Lavander.
Violet tossì per uscire dall’impasse, stoppare l’altra voce e tirare fuori la propria. «Preside, ora vado, cerco e torno. Con permesso». Il Preside restò pietrificato, nel sentire la doppia voce della Signora Germana e ancora sotto shock si versò dell’acqua per sé, mentre Violet silenziosamente usciva dalla presidenza per andare verso le scale.
Aveva tutta l’aria di una fuga quella dell’imbarazzato Violet. «No, da quella parte gira, anzi scappa, sta venendo la vera signora Germana», gli urlò all’orecchio Lavander. Con il fiato in gola raggiunse la porta della toilette dei docenti, giusto in tempo per accorgersi con la coda dell’occhio di una scena surreale: il preside che la vedeva correre in senso opposto alle scale e la vera signora Germana che si avvicinava con passo rapido alla segreteria seguita da Henry.
«Dai Violet, lo so che sei tu, dai dimmelo», la stuzzicava Henry, dandole pacche sul braccio per cercarne la complicità. «Come ti permetti! Quando vedo tuo padre ci penso io!», e infilatasi in presidenza, la vera signora Germana chiuse la porta in faccia al ragazzo, lasciando sbigottito il preside, ormai fortemente disorientato. «Ok, ciao Violet», continuava imperterrito Henry. Rifugiata in bagno la falsa signora Germana, rideva sotto i baffi, per la scena comica di Henry, ma la situazione si era fatta critica. «Per oggi la chiudiamo qui», suggerì Lavander alla sua seconda apparizione. «Il preside potrebbe insospettirsi, non peggioriamo le cose. Invece reputo interessante questo quadro “Del bene e del male” menzionato dal preside, che ne pensi Violet? »
« Sì quello per cui non riuscivo più a chiudere la bocca. Per dir la verità, è anche stato il richiamo di Laura a bloccarmi. Oh no! Laura devo mettermi in comunicazione con lei, devo dirle cosa è successo.»,disse allarmato l’angelo portandosi la mano sulla fronte.
«Non è il momento, Laura capirà. Andiamo in presidenza, invece, a sentire che si dicono».
«Ma Laura sarà preoccupata e poi, di nuovo il preside no!».
«Sbrigati, sei di nuovo invisibile e non ti vedrà nessuno», e detto ciò si dissolse.
«Non so come proseguirà questa giornata, già iniziata maluccio», disse Violet volando dietro Lavander. Giunti in presidenza trovarono il preside, pallidissimo, e la signora Germana, con il viso corrucciato in procinto di andarsene.
«Penso che domani prenderò un giorno di riposo, non mi sento molto bene», disse il preside. «Giusto, decisione saggia! Oggi ne ho sentite di belle! Buona giornata, Preside!», ribatté ironica la signora Germana e chiudendo la porta si allontanò verso l’uscita.
«Seguiamola, forse scopriamo qualcosa», sussurrò Lavander, svolazzando dietro la bidella. «Aspettami, arrivo!». In un lampo stavano dietro all’ignara signora, che scese di nuovo le scale e invece di prendere per gli scantinati, si diresse verso l’uscita posteriore, verso il padiglione dell’arcangelo Uriel.
«Hai visto? Va verso l’edificio distaccato, vediamo che combina», osservò Lavander. La signora Germana attraversò il parco verdeggiante che separava le altre scuole dal padiglione Uriel delle classi finali del liceo. Salì le scale antistanti l’androne, entrò, percorse l’atrio che era identico agli altri tre padiglioni e si fermò di fronte la vetrata della portineria.
«Buongiorno signora Germana, come sta? È un po’ che non ci si vede, qual buon vento la porta da noi?», la salutò affettuosamente un signore di mezza età, alto robusto e con i capelli grigi.
«Buongiorno signor Alfredo, secondo lei chi mi può mandare?», rispose cordialmente la signora Germana.
«Il capo ha bisogno di qualcosa e manda lei per ritirarla: si sa che è l’unica di cui si fida!».
«Grazie, per dire la verità, mi ha chiesto di fare una ricerca nei vostri scantinati».
«E di che ricerca si tratta?».
«Del Quadro del bene e del male che si trova in questa scuola: apparteneva ad un sacerdote, cugino del primo preside di questo istituto.
«Sentiamo, sentiamo!», disse il Signor Alfredo, poggiando i gomiti sul muretto che lo separava dalla signora Germana.
«A quanto pare, questo preside, vero intenditore di arte, riuscì a farsi regalare il dipinto dal sacerdote. Lo espose quindi a scuola, ma la cosa durò poco, perché scomparve dalla parete e se ne persero le tracce: il preside attuale sostiene che sia finito in uno di questi scantinati, come gli riferì un vecchio bidello, ormai andato in pensione».
«Allora, sotto di noi si nasconde un mistero interessante! Dunque avevo ragione, quando qualcosa d’importante bolle in pentola, la signora Germana viene chiamata ad operare!». Accennandole un sorriso, il signor Alfredo uscì dalla vetrata della sua postazione e fra il serio e il divertito esclamò: «Per il bene della scuola, la condurrò nei meandri dell’istituto, mi segua mia bella signora». Con passo celere la guidò lungo un corridoio che si allargava in un piccolo spiazzale. Qui si intravedeva, oltre ad un banco adibito a scrivania, una scala semibuia che conduceva al sotterraneo. Il signor Alfredo si fermò e prima d’iniziare a scendere accese la luce, si girò a guardare la signora Germana e la pregò di seguirla.
«Quante storie sta facendo signor Alfredo, come se non conoscessi la struttura della scuola». Gli angeli si guardarono e fu in quell’istante che Violet fu richiamata d’urgenza da Laura.
«Lavander io devo andare, Laura mi cerca, sicuramente sarà preoccupata. È tutta la mattina che cerca di mettersi in contatto con me e io devo proprio andare ora, mi dispiace, segui tu le prossime mosse», disse Violet un po’ inquieto. «Certo, fino a quando posso rimango, ti farò sapere», lo rassicurò Lavander e Violet volò da Laura. Stava in piedi, con lo zaino in spalla, appoggiata al muro del corridoio oramai semivuoto del pian terreno.
«Ehm! Ciao Laura, è da molto che è suonata la campana?», chiese mortificato Violet, visto il viso imbronciato di Laura, ma non riuscì a non sorridere vedendo sobbalzare la bambina, che ormai si era rassegnata a un’attesa infinita.
«Dove sei stato? È una mattina che non rispondi! Al suono della campana ti ho cercato dove potevo! Si può sapere cos’è successo?». Sussurrava a bassa voce Laura, per paura di essere vista parlare con il nulla più assoluto, ma avrebbe voluto gridare. «Te lo dicevo che il tuo piano non mi convinceva», replicò sorridendo al racconto della missione fallita. «Guarda Violet, il POF è qui», aggiunse staccandosi dal muro e avvicinandosi all’albo. «Eppure darei un’occhiata fugace. Che male c’è», commentò guardandosi intorno. Da lontano, uno dei bidelli la osservava, un po’ spazientito dalla sua presenza, poiché non poteva iniziare il turno della pulizia finché tutti gli alunni non fossero usciti. Laura, aveva già il POF fra le mani e individuate le pagine che le interessavano. «Muoviti Laura, il bidello sta venendo verso di te e non mi sembra proprio di buon umore», suggerì Violet facendo voltare la bambina, che si trovò faccia a faccia con il bidello munito di scopa e paletta.
«Allora Laura, oggi non hai intenzione di lasciare la scuola? A quanto vedo ti stai anche interessando alle sue offerte», si sentì dire. «Mi scusi, vado via subito», e riappendendo il POF all’albo, scappò verso l’uscita seguita da Violet, oramai sfinita da quella giornata. Una volta fuori, si accorse che il piazzale della scuola era deserto e le venne in mente suo padre. «È tardissimo, mio padre mi ucciderà», e accelerando il passo superò la cancellata e si avviò verso il punto dove di solito il padre stava ad aspettarla, certa di trovarlo furioso per averlo fatto attendere così tanto. Con stupore, però, si accorse che il papà era comodamente appoggiato alla propria auto, a conversare con la professoressa di educazione fisica. Dopo un attimo di esitazione, attraversò la strada e raggiunse i due, che appena la videro la salutarono sorridenti.
«Ciao amore, ti ricordi della prof? L’abbiamo incontrata in presidenza». Ma gli sguardi attoniti di Laura e della prof lo misero in guardia sulla gaffe appena fatta. «Ehm! Scusate, che stupido, è la tua professoressa, è logico che tu la conosca!». Per Laura era tutto perfetto, niente rimproveri.
«Ciao Laura, tuo padre è un vero simpaticone. Comunque si è fatto tardi, mi dispiace interrompere questa piacevole conversazione, ma devo proprio andare», e la prof si allontanò accelerando il passo, seguita dallo sguardo assorto del signor Loreto. Laura osservava in silenzio, avvertendo una strana sensazione dentro. Salì in macchina, sistemò lo zaino sul sedile posteriore e si perse nei propri pensieri, guardando fuori dal finestrino.
Cecile Caravaglios
To be continued