Muriel – 25 Visita in presidenza

Muriel – 25 Visita in presidenza

Buongiorno signor Alfredo, vedo che è in compagnia dei fratelli Scott. È successo qualcosa?», chiese il preside da dietro la sua scrivania.

«Buongiorno preside, penso di avere scoperto qualcosa d’interessante», rispose il bidello, dando un’occhiata di sbieco ai due ragazzi, che intanto lo guardavano senza capire cosa davvero volesse da loro.

 «Bene, la ascolto Alfredo; ma prego, accomodatevi», disse il preside accennando alle poltrone di fronte a lui.

«John ti spiacerebbe avvicinarti quella sedia laggiù?», continuò, indicando quella posta ad un angolo della libreria bassa che costeggiava quasi tutta la parete della presidenza.

Il ragazzo lo guardò annuendo e, senza grande entusiasmo, si mosse per prendere la sedia. Una volta accanto a questa, si avvicinò per tirarla a sé e fu in quel preciso momento che con la coda dell’occhio si accorse che, appoggiate al muro, vi erano due tele, raffiguranti una la battaglia tra angeli e l’altra la cacciata di Adamo ed Eva dal Giardino dell’Eden. John ebbe un sussulto: le tele erano già in presidenza, ma in ogni caso erano ancora separate. Il ragazzo le osservava in silenzio, finché il preside, per suggerimento del signor Alfredo, non lo richiamò alla realtà.

«Ti sei incantato davanti all’arte, John?».

«Ehm, sì, scusi», e prendendo la sedia si accomodò accanto ad Henry che continuava ad essere paonazzo in volto.

«Bene signor Alfredo, mi dica che cosa ha scoperto di così interessante», proseguì il preside gentilmente.

«Penso di aver individuato chi ha causato l’incendio questa notte all’interno della scuola o almeno un complice», rispose il signor Alfredo e gonfiandosi il petto indicò Henry con la mano. Il ragazzo da paonazzo divenne pallido come il foglio di carta steso sulla cattedra del preside, che a ben osservare riproduceva la piantina della scuola. La pianta della scuola? Henry si avvicinò quanto più possibile alla scrivania per scrutarla bene da vicino, distogliendo di colpo il pensiero dalla preoccupazione di essere stato appena additato dal bidello come un pericolo pubblico. Piuttosto, cos’erano quei cerchi sopra i vari padiglioni, cosa indicavano? Doveva assolutamente coinvolgere John per decifrare insieme a lui quelle zone marcate sulla piantina, ma voltandosi a cercare il fratello con lo sguardo si accorse che questo guardava sbigottito il bidello, per le fantasie prodotte dal suo povero cervello. Ormai stava rinunciando ad attirare l’attenzione di John, quando, appena prima di alzare gli occhi verso il preside e tornare all’insensato motivo per cui era stato trascinato lì, una voce lo scosse alle sue spalle: «Ciao Henry, non aver paura, sono Laura». Il ragazzo spalancò gli occhi e si girò verso lei che gli sorrideva. «Lavander mi ha detto delle tele, della pianta sotto i tuoi occhi con dei tratti di penna sopra e quindi sono accorsa in vostro aiuto: ora cerco di ispezionare in giro, ma tu non fare capire niente».

Il ragazzo annuì impercettibilmente e poco convinto, diede uno sguardo furtivo al fratello per vedere se, anche lui, era stato messo al corrente da Laura della sua presenza in quella stanza, enigma immediatamente svelato dallo sguardo preoccupato e distratto di John, che agitava le pupille da una parte e dall’altra al seguito degli spostamenti lenti e accorti dell’amica. «Allora Henry, che mi dici di questa storia che mi sta raccontando il signor Alfredo?», tornò sul discorso il preside con un tono un po’ ironico. Il ragazzo, preso alla sprovvista dalla richiesta del preside, per prima cosa lo fissò con le sopracciglia inarcate, e più cercava di concentrarsi per pronunciare una risposta, più il volto attonito del fratello, che continuava a vedere Laura in azione, lo distraeva. «Assolutamente no, Signor preside, io non ne so nulla», finalmente riuscì a tirar fuori la voce e forse a tirarsi fuori dai guai; ma il bidello non gli dava tregua: «Ah sì! E allora perché mi hai detto che l’incendio non ha provocato danni e … ».

«La prego, Alfredo, lasci parlare il ragazzo. Dai Henry, continua».

«Signor preside, io ho solo chiesto informazioni su quanto fosse accaduto e quando il signor Alfredo mi ha riferito che non si sapeva ancora se si potevano svolgere le lezioni, io ho avuto un attimo di felicità, poiché ho pregustato la mia giornata di libertà. Ecco, questo è tutto». Concluso il suo apologo sembrò perdere i contatti con il mondo circostante, pietrificando lo sguardo che a occhi spalancati puntava qualcosa di indefinito davanti a lui.

«Che hai ragazzo mio, perché mi guardi così?», chiese il preside.

«Anche tu, John? Che avete?», ripeté il preside, accorgendosi che anche l’altro ragazzo lo fissava e addirittura sorrideva.

«Niente Signor preside, ripensavo a tutta la storia che si è verificata di mattina e mi veniva da ridere», rispose John voltandosi verso il fratello, che chinò il capo per confermare.

Il preside e il signor Alfredo, ignari ovviamente di quanto Laura con intorno Violet, Lavander e Camomile, stessero combinando, non erano per niente convinti della risposta, non comprendendo soprattutto il motivo dell’improvvisa malcelata ilarità dei fratelli. La situazione si fece ancor più divertente quando il preside decise di analizzare la cartina posta davanti a lui e, non vedendola più, inforcò gli occhiali per accertarsi di vedere bene, ma non c’era, era evidente, cercò tra le carte vicine, ma non ci fu niente da fare.

«Ehm! Scusate, ma non avete per caso visto una piantina della scuola, posta qui davanti a me?», si trovò costretto a chiedere.

«Non saprei Signor preside, non ci ho fatto caso», rispose John, simulando un minimo di compostezza.

«Neanch’io, Signor preside, mi dispiace».

«Fa niente, e lei, Alfredo per caso, si è accorto della piantina della scuola, qui sulla scrivania?», insisteva, ricontrollando ogni foglio già controllato poco prima.

«No, Signor preside, ma potrebbe sapere qualcosa la signora Germana, non è lei che si occupa della sua stanza?», suggerì Alfredo ironicamente puntando l’indice verso la porta, dove troneggiava da qualche secondo la figura della bidella.

«Buongiorno preside! Noto che la presidenza è affollata di buonora!», esordì avanzando con fare guardingo.

«Buongiorno signora Germana, si parlava proprio di lei in questo attimo riguardo alla pianta della scuola, che fino a ieri pomeriggio era proprio qui. Si ricorda?», la interpellò il preside, indicando un punto della scrivania, proprio sotto il proprio naso.

«Certo che me lo ricordo, l’abbiamo analizzata per tutto il pomeriggio», replicò la bidella girandosi attorno fino ad incrociare gli occhi di John, che prontamente le ricambiò la brutta occhiataccia ricevuta.

 «Signora, se per favore può cercarla quando ha un minuto di tempo, vorrei esaminarla ancora … ehm! Scusi, ma perché è venuta in presidenza, doveva dirmi qualcosa a proposito delle tele?».

«Sì, ma c’è troppa folla, torno più tardi».

«Assolutamente no, i ragazzi e il signor Alfredo se ne stavano andando, anzi, potete andare, siete liberi da ogni accusa. Signor Alfredo, per favore la prossima volta si occupi di qualcosa di più concreto, invece di fare delle supposizioni balzane; quanto a voi, cercate di stare alla larga da queste faccende».

«Con piacere», garantirono in coro i due ragazzi, alzandosi e schizzando fuori dalla presidenza, prima che ci fosse qualche ripensamento, seguiti dai loro angeli custodi, ben contenti anche loro di fuggire da quel posto.

«Ma, ma signor preside, non ha neanche preso in considerazione la mia ipotesi», ribatté deluso il bidello.

«Ho valutato tutto molto accuratamente e le posso assicurare che non vedo nessun male nel comportamento dei ragazzi, né nel loro ragionamento. Ora vada signor Alfredo, per favore ho cose molto più urgenti da ultimare!», disse seccato, il preside al bidello, poi rivolgendosi alla signora Germana la invitò ad accomodarsi.

Il signor Alfredo, verde di rabbia per la poca considerazione mostrata nei suoi confronti, si alzò e impettito si diresse fuori dalla stanza, senza neanche salutare. La Signora Germana si sedette rivelando un inquietudine che la portava a girarsi intorno come se fosse braccata.

«Signora, ma perché è così agitata? Respiri profondamente, lei ogni qualvolta entra in presidenza è sempre in ansia!».

La signora guardò torva il preside e rispose acida: «Questa storia non mi piace più, si fa sempre più complicata».  «Io non vedo nessuna complicazione, mi sembra che, anche se lentamente, stiamo riuscendo a ricomporre il quadro nella sua interezza. Io non ho fretta e soprattutto non le ho fatto premura quando mi ha mostrato la sua disponibilità ad aiutarmi nella ricerca», le rispose il preside, sorpreso dall’atteggiamento contrariato della bidella.

«Sì va bene, ma si procede troppo a rilento, mentre io non vedo l’ora di sbarazzarmi una volta per tutte di questo quadro». Il preside, a questo punto, si accigliò e avvicinandosi con la poltrona alla scrivania, per parlare più da vicino alla bidella le disse con fermezza: «Non ho alcuna intenzione di disfarmi del quadro, anzi vorrei esporlo nuovamente». La signora Germana furiosa, indispettita e poi irritata in una smorfia sola si alzò di scatto, sbattendo energicamente il palmo della mano su un libro posto sulla scrivania e urlando al preside: «Questo quadro va dislocato, ha procurato solo guai ed io mi sono proposta di aiutarla a ritrovarlo, solo alla condizione di sbarazzarcene!». «Ma non se ne parla nemmeno: il quadro verrà esposto, come ai tempi del primo preside. Una cosa è certa, non si farà ciò che dirà lei: se non vuole più collaborare, si può benissimo tirare indietro, io non intendo disfarmi di questo capolavoro che ha una storia alle spalle».

«Questo si vedrà.», ringhiò minacciosa la signora Germana.

 «Ma signora … che le succede!», farfugliò il preside, sconvolto e sorpreso da tanta arroganza, impensabile per quella signora, cordialissima fino a qualche giorno prima.

«Questa storia non finisce qui! La saluto», rispose la bidella con gli occhi fuori dalle orbite e voltandosi trascinò la sua ambigua figura verso l’ingresso della presidenza. Sull’uscio si soffermò appena per dare un altro sguardo malefico in giro e infine si dileguò nel corridoio. Il preside rimase senza parole, con gli occhialini tra le mani e l’aria inebetita. Ripresosi dallo shock, poggiò gli occhiali sullo scrittoio e si lasciò andare sullo schienale della sua poltrona poggiando la testa sulla spalliera e sospirando amaramente per il comportamento sconclusionato della bidella. Fu lì che, posando gli occhi sulla scrivania, si accorse che la piantina della scuola era nuovamente davanti a sé. Non ci poteva credere, l’aveva cercata, ma non c’era; e com’era possibile ora? Accostò la poltrona alla scrivania e osservò da vicino alla rappresentazione dell’edificio. Il giorno precedente aveva passato parte del pomeriggio a segnare i posti non esplorati della scuola per cercare di capire dove potessero essere nascosti gli altri dipinti, poi era arrivata la signora Germana con una delle tele. Strano, però, a pensarci bene, il pomeriggio la bidella non era in servizio, anzi nel pomeriggio non lo è mai. Il preside si allargò il nodo della cravatta, indietreggiò con la poltrona, si alzò di scatto e corse a versarsi un bicchiere d’acqua.« C’è qualcosa che non va e non riesco a capire che cos’è », diceva fra sé e sé, sorseggiando lentamente l’acqua.«Finalmente comincia a capire qualcosa», disse Violet a Laura, vigili e pronti al rapporto. «Poveretto, se sapesse la verità sul quadro e anche della nostra presenza qui, ne morirebbe!».

«Fai silenzio, guarda un po’, sembra che ci abbia sentito», sussurrò Laura.

«Ch …chi … è che ha par … lato?  C’è qualcuno?», balbettò il preside, girandosi attorno con il bicchiere in una mano e la bottiglia nell’altra, che tremavano allo stesso ritmo delle sue mani.«Forse è meglio che mi sieda, forse sono troppo stanco», mormorò accomodandosi sulla sua poltrona di pelle nera. Adagiò bottiglia e bicchiere sullo scrittoio, estrasse un pacchetto di fazzoletti di carta dal cassetto e iniziò a tamponare la fronte dal sudore col primo che riuscì ad afferrare. «Certo che fa caldo oggi!», disse a voce alta per vedere se qualcuno rispondeva. Ma non avvenne nulla. Rimase in silenzio e immobile con il viso bianco come la cera, provando a percepire eventuali rumori di fondo.  Anche Laura e Violet, restarono muti e sconvolti da quella circostanza inaspettata. Osservavano l’immobilità del preside, e si pietrificarono insieme a lui  poiché non capivano più che cosa stesse succedendo.

Cecile Caravaglios

To be continued

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