Muriel – 30 Il pranzo della domenica

Muriel – 30 Il pranzo della domenica
 

Un sole timido, faceva capolino fra le chiome degli alberi, preannunciando la primavera nell’aria mattutina della domenica tanto attesa, e portandosi via le coltri di nubi che avevano oscurato il cielo nei giorni precedenti. Laura se ne stava seduta e raccolta sulla solita sedia, accanto la finestra della cucina e, ancora assonnata, cercava di guardare oltre i vetri ricoperti di brina. «Buongiorno Lauretta mia».

«Buongiorno papà», rispose Laura ancora assorta.

«Hai fatto colazione?», le chiese il padre, riscaldando un po’ di latte sul fornello.

«No, sono scesa da poco».

«Bene, allora accomodati che il latte è già caldo. Qui c’è pane e marmellata, io sto uscendo, ci vediamo alle dieci e trenta in chiesa, non fare tardi».

«Tranquillo, papà».

«Violet, potresti andare dai ragazzi e ricordare loro di vederci tutti a messa per le 10:30?», chiese a voce alta Laura, un attimo dopo l’uscita del padre.

«Subito bimba mia, vado e riferisco», rispose Violet, sbucando con la testolina dal nulla per scomparire subito. Laura, pronta in tempo record, tornò in cucina per controllare quale fosse il piatto forte per gli ospiti: un bel pollo con patate, ben aromatizzato, al suo posto dentro al forno. Rimase a osservare quella prelibatezza, pregustandolo con l’acquolina in bocca e, a malincuore, chiuse lo sportello del forno ancora con quella succulenta sensazione. All’improvviso, però, tutto cambiò, l’acquolina si tramutò in nausea e una percezione oscura invase la ragazzina. Si guardò attorno, ma non vide niente. Che stava succedendo? Laura non sapeva che fare e istintivamente chiamò Violet.

«Eccomi!».

«Violet, , ho percepito una sensazione nefasta e ho anche il senso di nausea che ho provato in presidenza. Il nemico è qua?»,chiese Laura allarmata.

«Sì, ha fatto un piccolo sopralluogo, ricordati che tu hai la cosa più importante che in questo momento desidera. Non devi aver paura, ricordati che sei protetta da noi e in più il libro che hai preso in biblioteca ha qualcosa di molto interessante da dirti a riguardo».

«È vero, stasera devo cominciare a leggerlo assolutamente!».

«Ora sbrigati, sono le dieci e magari incontri i tuoi amici per strada».

«Hai ragione, vado».

Corse all’ingresso, prese al volo le chiavi e uscì chiudendosi il portoncino alle spalle. Scese il gradino davanti la soglia e inspirò profondamente l’aria mattutina ricca di profumi.

 Dopo circa dieci minuti raggiunse la chiesa, dove John, Henry e Andrea stavano già ad aspettarla.

«Ciao bella fanciulla», la salutò John, baciandola sulla guancia.

«Ciao a tutti, è bello vedervi, ma Carletto dov’è?».

«È entrato, ha detto che doveva sbrigare una cosa», rispose Andrea.

«Entriamo anche noi, prendiamo posto e vediamo che fa il nostro amico», disse Laura risoluta, oltrepassando il portone della chiesa seguita dagli altri. Attraversata quasi tutta la navata centrale, si sedettero in prima fila per cercare di vedere Carletto, di cui, però, non c’era traccia.

«Guarda Laura, quello non è tuo padre?», le sussurrò John all’orecchio; la ragazzina annuì e agitò la mano in alto per attirare l’attenzione del padre. Questi, dopo un po’, finalmente, si accorse della figlia e si accomodò accanto a lei.

«Allora papà, hai ricordato a don Lorenzo che più tardi è da noi?».

«Certo, viene con piacere… ah! Sai, non sapevo che a Carletto piacesse fare il chierichetto»,disse il signor Loreto compiaciuto.

«Il chierichetto?», esclamarono gli altri trattenendo una risata, soppressa sul nascere dallo sguardo bieco di Laura.

«Perché, neanche voi lo sapevate?».

«Beh! Sinceramente no, ma tu come lo sai, chi te l’ha confidato?».

«No, è successo per caso, quando siamo entrati in sacrestia, nella stanza personale di don Lorenzo.  L’abbiamo trovato che cercava nell’armadio il vestito; poi, Carletto, vedendo don Lorenzo, l’ha pregato di fargli fare questa esperienza perché, da sempre, era stato il suo sogno».

«Ah sì!», esclamò Laura con una smorfia sul viso.

I ragazzi, che avevano ascoltato, si guardarono e tutti furono pervasi dalla stessa intuizione, ma nessuno disse niente.

Il tintinnio che dava inizio alla Santa messa si fece sentire, squillante più che mai: sull’altare avanzò Don Lorenzo, seguito da Carletto nella sua tunica bianca e la campanella in mano. Nel vederlo i ragazzi accennarono ad una risatina, che fu bloccata sul nascere dagli occupanti della panchina davanti, i quali  giratosi, li rimproverarono con gli occhi. Il bambino, quando li scorse, ammiccò verso di loro e con un cenno della mano fece capire loro che gli avrebbe spiegato tutto dopo.

La messa sembrò scorrere in fretta. Di certo, la presenza di Carletto la rese più movimentata, visto le piccole e continue gaffe che combinava, il sacerdotesi ritrovò ad andare a prendere da sé il calice, l’acqua e il vino, per non dire del resto, della campanella suonata quasi ogni dieci minuti, anche durante l’omelia, tanto che molti s’inginocchiavano o si alzavano quando non dovevano.

«Povero Carletto, penso che, alla fine della messa, don Lorenzo lo butterà fuori anche dal catechismo, altro che coro di Pasqua!», disse Andrea ad Henry.

«Sì, ne sono convinto anch’io», rispose Henry, soffocando una risatina.

La messa finì e Laura ebbe un sussulto al cuore, si stava avvicinando il grande momento del colloquio con don Lorenzo.

Uscirono dalla chiesa e attesero il padre di Laura che, a sua volta, era rimasto seduto sulla panca ad aspettare che don Lorenzo si svestisse degli abiti sacerdotali e lo raggiungesse.

«Eccoci qua, vi abbiamo fatto attendere, ma ce l’abbiamo fatta», disse il signor Loreto rivolto ai ragazzi.

«Buongiorno piccoli miei, è una gioia rivedervi tutti insieme e sono molto onorato di questo vostro invito a pranzo», disse il prete rivolgendosi a Laura. «So che l’invito è partito da te, per una lezione di storia locale, giusto Paolo», chiese voltandosi verso il papà di Laura.

«Giusto. Laura e i ragazzi devono fare una ricerca sulla storia … di che cosa cara?», chiese alla figlia il signor Loreto.

«Non importa papà, il nostro è soprattutto un invito a stare insieme. Scusate, ma Carletto dov’è?», rispose Laura frettolosamente per cambiare discorso.

«Già, Carletto dov’è? È uscito prima di me dalla sacrestia, ma questo bambino oggi proprio non lo capisco», aggiunse perplesso don Lorenzo.

«Eccomi, non vi preoccupate, sono arrivato!», gridò il piccolo giungendo dal retro della chiesa.

«Scusa, ma da dove arrivi?», chiese Laura.

«Già, da dove arrivi?», insistette il sacerdote aggrottando le sopracciglia.

«Ehm! Sono dovuto andare in bagno e … ».

Don Lorenzo restò di sasso a quella affermazione, poiché in chiesa il bagno era unico e vi si accedeva solo dalla sacrestia che, in quel momento, era chiusa a chiave.

«Dai, andiamo che ho un po’ di fame», disse John, capendo di dover togliere l’amico dai guai.

«Sono sicuro che dopo il pranzo Carletto ci spiegherà!», e prendendo sottobraccio il bambino, cominciò ad incamminarsi.

«Sì, andiamo», ripeté il signor Loreto, esortando tutti ad avviarsi.

«Poi ci dirai che cosa hai combinato stamattina in chiesa!», sussurrò all’orecchio di Carletto John.

«Certo, con molto piacere, ehm! … e … grazie!», rispose Carletto schiacciando l’occhio all’amico

«Di niente», rispose John sorridendo.

L’invito a dirigersi verso casa era stato accolto con molto entusiasmo e tutti, mossi da un certo appetito, si erano incamminati speditamente.

«Eccoci arrivati! Entri, don Lorenzo, … ragazzi, prego!», esclamò il signor Loreto, aprendo la porta di casa.

«Grazie Paolo».

«Dai pure a me il soprabito», disse gentilmente il signor Loreto a don Lorenzo che lentamente si sfilò il cappotto e glielo porse, sotto l’osservazione attenta e quasi imbambolata di tutti i ragazzi.

«Su Laura, accompagna gli ospiti in soggiorno, mentre io vado a finire di preparare. Magari, se ne avete voglia, potete cominciare un po’ a farvi raccontare qualcosa da padre Lorenzo», propose il signor Loreto avviandosi verso la cucina.

«Oh sì, venite con me», disse Laura e, quasi correndo, li guidò nel soggiorno.

«Che bella casetta», si complimentò don Lorenzo guardandosi intorno e, soffermandosi sulla foto della mamma di Laura, osservò: «Sai Laura, tu assomigli molto alla mamma».

«Sì, me lo dicono in tanti ma, prego, accomodatevi», fece gli onori di casa Laura, sedendosi su un pouf. I ragazzi si disposero stretti come sardine sul divano e don Lorenzo, anche se Laura aveva preso qualche sedia, si andò a sedere sulla poltroncina rossa di sua madre, lasciando la bambina un po’ rammaricata, ma non più di tanto, dopo il discorso che Raffaele le aveva fatto in proposito. 

«È vero che nel nostro istituto c’è un quadro nascosto?», esordì Andrea a bruciapelo, dopo un lungo respiro.

«Che è stato dipinto dagli arcangeli in persona?», le resse il gioco Henry.

« … Ed è vero che la nostra scuola si fonda su un luogo di culto sacro», si unì alle domande in corso Carletto, spiazzando gli amici, ma soprattutto don Lorenzo.

«A tavola … Laura, fai accomodare i nostri ospiti», fece sentire la sua voce il signor Loreto, apparendo dalla porta del cucinino.

«Sì papà! Signori, prego», disse Laura, improntando un mezzo inchino e facendo segno verso la tavola apparecchiata nel soggiorno.

«Spero che il pranzo sia di vostro gradimento», disse il signor Loreto poggiando una zuppiera al centro tavola.

«Tortellini con il ragù! Sono la mia passione», gridò Carletto con troppa esuberanza, tanto che tutti si girarono a guardarlo.

Gli invitati si servirono, mangiarono il primo e il secondo con gusto, senza proferire parola che non fossero complimenti alle pietanze, alla gentilezza del padrone di casa, alla gradevolezza del contesto; solo dopo la frutta, il signor Loreto introdusse l’argomento tanto atteso: «Ma allora, la lezione locale?».

I ragazzi lo guardarono, come se si fossero svegliati in quel momento e solo John, dopo un attimo di sbandamento, si sintonizzò come poteva alla domanda, dicendo: «Sì, in effetti avevamo chiesto informazioni riguardo al nostro istituto».

«Oh sì certo», rispose, un po’ spaesato don Lorenzo, mentre inghiottiva l’ultimo spicchio di arancia. «Bene, incominciamo dal principio. La nostra scuola fu costruita circa sessant’anni fa, in un posto verdeggiante. A quanto pare, tanto tempo prima, doveva esserci un bosco molto fitto, di cui resta una qualche traccia nel parco della nostra scuola. Quando si fecero i primi scavi, successe qualcosa di inspiegabile, poiché dalle foto di rilevamento scattate, vennero fuori delle figure bellissime. Tutti coloro che le analizzarono rimasero molto colpiti e, non capendo cosa fossero queste strane presenze, consegnarono le foto al parroco del rione che, allora, era Monsignor Ruggeri. Il sacerdote, vedendo le fotografie, rimase totalmente conquistato e volle recarsi di persona sul luogo misterioso; qui effettuò altre rilevazioni fotografiche molto proficue in quanto, una volta sviluppate, vennero alla luce nuove immagini che rappresentavano anche oggetti strani. Gli scavi continuarono e furono rinvenuti degli utensili identici a quelli rilevati nelle foto».

I ragazzi a queste parole fecero un’espressione di rinnovata meraviglia.

«Che utensili?», chiese il papà di Laura, anche lui coinvolto dalla storia.

 «Sì, quali utensili?», chiese Carletto straripante di curiosità.

Il prete sospirò, guardò tutti uno ad uno e continuò: «Un’ampolla d’oro, intarsiata di pietre preziose, contenente dell’olio aromatizzato e anche una spada altrettanto pregiata. Ma la cosa più particolare, fu la presenza di un roseto di rose bianche senza spine, quello rigogliosamente rinato dopo essere stato estirpato più volte; le foto cioè documentano la rinascita inaspettate delle rose».

«Scusi, ma è il piccolo roseto che si trova all’entrata della scuola?», esclamò Laura.

«Precisamente, brava la mia bambina», rispose don Lorenzo.

«Ma lo sa che non ho mai fatto caso che quelle rose sono senza spine? Eppure mi sono soffermata ad osservarle migliaia di volte».

«E poi?», chiese impaziente Carletto, «cos’è stato trovato? Continui, la prego!».

Don Lorenzo lo guardò con affetto, sospirò e proseguì: «Infine è stata trovata una fiaccola di fuoco ardente che non riusciva a spegnersi e tuttora è sempre accesa».

«E adesso, dove si trova?», chiese John affascinato.

«Penso che sia nella chiesa di Monsignor Ruggeri, Santa Maria degli Angeli».

I ragazzini strabiliati si scambiarono sguardi attoniti, anche se il loro pensiero perspicace corse immediatamente agli arcangeli e ai loro simboli storici.

«Scusa Lorenzo, ma io sono forse un po’ fuori dai vostri discorsi, non capisco che vuoi dire con un roseto che non smette mai di crescere sempre nello stesso punto e una fiaccola che brucia incessantemente», chiese il padre di Laura, estraneo a tutto.

«Qui sta l’incomprensibile. Monsignor Ruggeri, analizzando le foto e gli oggetti, ha ricollegato il tutto alle figure originarie degli arcangeli; inoltre egli è convinto che, dove ancora oggi sussiste il roseto, vi è stato il tocco sacro dell’Altissimo», concluse don Lorenzo, rimanendo immerso dal silenzio creatosi dall’unanime meditazione dei presenti, rapiti dal fascino della straordinaria congettura. In particolare il signor Loreto guardava l’amico senza riuscire a far altro, nonostante le mille domande che gli passavano nella mente. Dal canto loro i ragazzi, anche se conoscevano già per grosse linee la storia, non immaginavano minimamente che quel roseto a scuola potesse essere sacro e poi anche la fiaccola, per loro, era una novità di questo intreccio misterioso. Fu lo stesso don Lorenzo ad interrompere quel silenzio, affermando: «Riguardo al quadro di cui mi avete chiesto, in effetti c’è una tela che è stata celata alla vista di tutti. Ma io ne so poco o niente, per giunta non l’ho mai vista, anche se interessa molto al Monsignore».

«E dove si trova adesso?», chiese John, facendo finta di non sapere niente.

«Nella vostra scuola, non so dove, ma di sicuro si trova lì, poiché il vostro preside è molto interessato a ritrovarlo, tanto che ha chiesto ai suoi collaboratori di aiutarlo a cercarlo negli scantinati».

«Ah sì! E lei come fa a sapere tutte queste cose, se prima ha detto di non sapere nulla del quadro?», chiese impertinente Andrea.

«Perché ho incontrato la signora Germana nella chiesa di Santa Maria degli Angeli e ho sentito che discuteva animatamente con il Monsignore, a proposito del dipinto».

I ragazzini, a sentire nominare quel nome, si scambiarono sguardi eloquenti tra di loro, sguardi che non sfuggirono né al padre di Laura, né a don Lorenzo.

«E che ci faceva la nostra bidella nella chiesa Santa Maria degli Angeli?», chiese Henry.

«Le pulizie», rispose don Lorenzo.

«Le pulizie?!», fecero eco i ragazzi

«Sì, circa due settimane fa, la signora è stata contattata dal Monsignore, per effettuare le pulizie nella sua parrocchia», disse il prete notando, nuovamente, gli sguardi che i ragazzini si scambiarono a quella sua affermazione.

«Perché, che c’è di tanto strano che la vostra bidella s’impegni a fare le pulizie anche in chiesa?», riprese don Lorenzo cercando di interpretare i pensieri dei ragazzi.

«Niente», rispose Henry facendo spallucce.

«Mi dovete scusare, ma io non ci capisco più niente», recriminò il signor Loreto, perplesso, grattandosi con una mano la nuca. «Ora, in questa faccenda, c’è anche il preside coinvolto, non so se mi devo preoccupare … ».

«Ma no papà», intervenne Laura, «a scuola, per ora, si parla di questo quadro, perché un tempo era molto considerato ed era … ».

«Aspetta, aspetta, ma per caso è il famoso Quadro del bene e del male che uno strano giorno scomparve dal suo cavalletto, posto nell’atrio della scuola?», la interruppe il signor Loreto.  

I ragazzi si voltarono tutti verso il padre di Laura e Andrea esclamò incredula: «Lei conosce il quadro?».

 «Ma certo, lei è stato alunno di quella scuola, circa quarant’anni fa», osservò Henry mostrando tutto il suo discutibile savoir-faire.

«Troppo gentile Henry, diciamo che quando io frequentavo l’ultimo anno di scuola elementare, il quadro è stato tolto», spiegò il signor Loreto pensieroso.

«Non ci posso credere, ma come non ci abbiamo mai pensato», sussurrò Andrea all’orecchio di Carletto, che la guardò con una smorfia di stupore.

«Ehm! Che cosa ricordi del quadro papà, che cosa c’era di così interessante?».

«Intanto era molto grande e, se non sbaglio, era diviso in quattro tele rappresentanti appunto il bene e il male», provò a ricordare il signor Loreto.

«Ce lo può descrivere, cos’era rappresentato sulle tele?», chiese Carletto, tirandosi con l’aiuto dei gomiti sulla tavola.

«Nella prima, credo di poter dire con certezza, vi era la cacciata di Lucifero dal Paradiso; nella seconda la tentazione del diavolo all’uomo e la sua cacciata dall’Eden; nella terza una battaglia furiosa, dove l’uomo prende le sembianze di un mostro e nel quarto ho qualche difficoltà a recuperarlo dalla memoria, perché successe una cosa strana in un periodo ben preciso. Prima di Natale, osservando attentamente il quadro, avevamo rilevato, con i miei compagni, che la tela riportava la vittoria decisiva e schiacciante del bene sul male, ma al nostro rientro dalle vacanze, soffermandoci a guardare il quadro, notammo che la tela era diventata quasi un capovolgimento della sua rappresentazione e cioè la vittoria del male sul bene. Il tutto appariva in maniera ambigua e qualche giorno dopo la tela mostrava nuovamente la vittoria del bene sul male, finché il quadro fu tolto dalla vista di tutti, lasciando un grande vuoto nella scuola. Di fronte a quel quadro si verificavano degli episodi singolari: erano numerosi i visitatori che entravano a scuola per guardarlo, provenienti anche da lontano, da altre città, e soprattutto si trattava di fedeli o appartenenti al mondo della chiesa. Sì a ricordare bene, anche se ero davvero molto giovane, era proprio un quadro estremamente affascinante! Ma perché siete così interessati a questo dipinto?».

«Beh, l’hai appena detto tu, è affascinante tutto quello che gli gira intorno», rispose don Lorenzo.

«Hai ragione, sono rimasto molto colpito anch’io dagli eventi che hanno preceduto il sorgere della scuola», concluse il papà di Laura, alzandosi da tavola e iniziando a sparecchiare.

«No papà, fermati, tu hai cucinato, ora penso io al resto», si offrì Laura, cominciando a fare il giro dei commensali per togliere i piatti.

«Va bene, accetto volentieri», rispose il padre tornando a sedersi comodamente.

«Signor Loreto, lei sicuramente conoscerà le lingue antiche più di noi», disse a questo punto John al padre di Laura, la quale si voltò di scatto a guardare, con le orbite di fuori, il ragazzo.

«Non saprei ragazzo mio, non so neanche a che lingua ti riferisci, forse è più pratico don Lorenzo, poiché, avendo studiato in seminario, ne sa più di me», rispose il padre di Laura, dando una pacca sulla spalla di don Lorenzo.

«Troppo buono, amico mio, ma perché questa domanda?».

«Avremmo bisogno di avere tradotto questo bigliettino, ma non ci capiamo niente, è scritto in una lingua sconosciuta», disse Henry allungando la mano con il foglietto spiegato.

Il padre di Laura prese il bigliettino e gli diede un’occhiata «Ma … ma è assurdo, in che lingua è scritto? Oserei dire in quante lingue!? Aspettate, ma qui c’è qualcosa scritto in italiano sì, sì … ascoltate … ».

«Aspetti signor Loreto, un attimo», lo bloccò John per munirsi di penna e foglietto, «ora può leggere, grazie!».

«Posso?», chiese sempre più sorpreso il signor Loreto.

«Prego!», rispose John, mentre gli amici collaboravano mantenendo il silenzio.

«Ok, ascoltate … poiché le tenebre tenteranno di occultare la luce … ».

«E basta?», chiesero ad una voce subito i ragazzi.

«Sì, basta», disse riguardando, in lungo e in largo, il bigliettino.

«Scusa Paolo, mi fai dare un’occhiata?», chiese don Lorenzo tendendogli il braccio.

«Certo, tieni», gli rispose il padre di Laura e porgendogli il biglietto si risistemò sulla sedia.

«Uhm! Ma dove avete trovato questo bigliettino? Voi non avete idea di che cosa avete fra le mani!». A queste parole i ragazzini si scambiarono gli sguardi. «Le lingue utilizzate, che dividono questo testo in paragrafi di circa due o tre righe, sono lingue appartenenti ai cori angelici, sconosciute agli uomini, ma non a me che ho studiato per anni il mistero degli angeli», esclamò don Lorenzo con gli occhi che gli scintillavano dalla felicità.

 «Chi ve l’ha dato? Ma aspettate qui c’è qualcosa che … sì, è nella nostra lingua, scrivi John», continuò risoluto il sacerdote: «ma questa trionferà e una nuova era inizierà! Spettacolare, penso che questo foglietto fulminerà Monsignor Ruggeri».

«No! Questo biglietto rimane a me», gridò Laura, strappandogli il foglietto dalle mani. «Monsignor Ruggeri no!».

«E perché no?», domandarono insieme don Lorenzo e suo padre, guardandosi prima tra di loro e poi rivolgendo uno sguardo indagatore verso la bambina, che teneva stretto nel pugno il bigliettino.

Anche Laura aveva lo sguardo fermo su loro due, ammutolita e con gli occhi sgranati.

Al posto suo parlò Henry: «Penso che Laura in questo momento sia molto stressata, e il ritrovamento di questo biglietto probabilmente la fa sentire così responsabile che non vuole separarsene!».

«Ma io lo restituirei al più presto», assicurò don Lorenzo.

Laura, a quelle parole, fece due passi indietro, mentre l’immagine dell’essere orribile, con il suo sorriso beffardo, che faceva capolino dalla schiena del Monsignore, le ritornava alla memoria in tutta la sua crudezza. Il padre, percependo lo stato emotivo della figlia, si alzò e corse ad abbracciarla.

«Che c’è amore mio, cosa ti turba così tanto?».

«Non è niente papà, ma il bigliettino non andrà al Monsignore, è mio e non lo cedo a nessuno», dichiarò irremovibilmente Laura sudando freddo.

«Non ti preoccupare, non penso sia così importante che Monsignor Ruggeri lo veda», la rassicurò il padre baciandola sulla fronte.

«Grazie papà», rispose Laura stringendosi forte ai fianchi del padre.

«Ok, niente Monsignore ma, per favore, mi fate sapere che succede? Siete troppo strani e misteriosi, sono convinto che nascondiate qualcosa di molto importante, sapete che io sono un prete e potete confidarvi», affermò sbalordito don Lorenzo.

I ragazzi tornarono a scambiarsi gli sguardi, senza dire una parola, solo Henry cominciò a ridere in modo sconsiderato e rispose con le lacrime che gli invadevano il viso.

«Qualcosa d’importante, ma che sta dicendo? Solo ora ci stiamo rendendo conto che ci hanno preso in giro, che qualcuno ci ha fatto uno scherzo e lei crede che noi abbiamo qualcosa da nascondere. Ah! Ah ah ah!», asciugandosi le lacrime Henry, ammiccava verso i ragazzi e anche Carletto e Andrea cominciarono a ridere intensamente, seguiti da Laura e John, poiché anch’essi capirono cosa stesse escogitando Henry.

«Noi le siamo grati per la sua disponibilità, ma non abbiamo niente da nascondere, quel biglietto è uno scherzo che ci hanno fatto e tutto il resto è solo una conseguenza … Hi! Hi hi!», aggiunse John continuando a ridere.

«Capisco», rispose don Lorenzo con un tono di voce poco convinto, «comunque voi sappiate che, se avete bisogno di una spalla, io ci sono, ricordate anche che sono uno studioso di angelologia … quindi se … ».

«Grazie, ma le ripetiamo che non abbiamo bisogno di nulla», ripeté Laura, ridendo di cuore. «Bene, che ora è? Forse è tempo di andare», cambiò argomento don Lorenzo, un po’ imbarazzato per tutte quelle risate esagerate.

«Ma no! Avevi promesso di trascorrere tutta la giornata con noi», lo invitava a restare il signor Loreto. «Dai, ora ci mettiamo nel salotto e ci facciamo due chiacchiere».

«Papà, noi possiamo andare in giardino?».

«Certo, andate pure!»

«Va bene, rimango un altro po’», ci ripensò don Lorenzo.

«A più tardi don Lorenzo», si congedò Laura, seguita dagli amici che chinavano il capo per salutare, felici di svignarsela.

«Con piacere», rispose don Lorenzo seguendo con lo sguardo i ragazzini ormai di spalle.

«Uhm! Che ne dici Paolo, secondo me questi fanciulli nascondono qualcosa».

«Guarda non ne ho la più pallida idea, oltretutto Laura è già da un po’ di tempo che è misteriosa e strana allo stesso tempo, non so cosa le succeda. Comunque torniamo a noi, ieri mi stavi esponendo la tua idea circa un progetto che mi sembrava molto interessante». E i due così trovarono altri argomenti per il loro pomeriggio di relax.

I ragazzi, nel frattempo, si erano allontanati dalla villetta per evitare di essere osservati e si rifugiarono al limite del parco, tra quattro vecchi abeti che li riparavano da occhi e ascolti indiscreti.

«Allora ragazzi, qual è il vostro verdetto su don Lorenzo?», chiese subito Laura, sedendosi ai piedi di uno degli alberi.

«Non vorrei essere azzardata, ma per me è sincero!», rispose Andrea, mettendosi accanto a Laura insieme agli altri.

«Anche secondo me è pulito, non penso che abbia a che fare minimamente con Monsignor Ruggeri, ma non ho capito se sa dell’influenza negativa che per ora il Monsignore ha su di lui», aggiunse John.

«Secondo me sa o ha percepito la verità nefasta, ma non so che cosa gli passi per la testa», osservò Henry sdraiandosi sull’erba soffice.

«E tu Carletto, che ne pensi?», chiese Laura al bambino che si era raggomitolato su se stesso pensieroso.

«Penso che sia un sacerdote interessante, in quanto studioso di angelologia; inoltre ho anche l’impressione che i nostri angeli vogliano colloquiare con noi, visto che Jasmine è da un po’ che mi soffia nell’orecchio. Dai Jasmine, vieni!».

Dal nulla, apparve il piccolo angelo, più soave che mai.

«Lavander», «Camomile», «Violet», «Roselin», ad uno ad uno chiamati dai loro protetti, gli angeli apparvero nella loro luce splendente.

«Eccoci finalmente, vi siete ricordati di noi», sbuffò dolcemente Camomile. «Avete trascorso una giornata con una persona che ci conosce molto meglio di voi e non ci avete considerato neanche un attimo», incalzò l’angioletto, mettendo le braccia incrociate sul petto e inarcando le sopracciglia.

«Eravate presi talmente dalle incredibili scoperte e dalla paura del nemico che non ci avete pensato minimamente», disse rammaricato Lavander.

«Dovremmo sentirci offesi e trascurati», sottolineò Violet.

I ragazzini si guardarono fra di loro mortificati e Laura intervenne scusandosi: «Sono dispiaciuta, non volevamo mancarvi di rispetto, avete ragione, la mia paura per quegli esseri orribili mi ha distratto, facendomi dimenticare di voi, scusatemi».

«Scusateci tutti, ci siamo comportati da egoisti», si unì Henry.

«Ora basta, abbiamo capito, siete scusati!», disse gentilmente Roselin.

«In effetti, nessuno di noi ha considerato la figura di don Lorenzo da un punto di vista oggettivo, l’abbiamo considerato come possibile complice del Monsignore e non abbiamo pensato a lui come a un’eventuale figura positiva», continuò John, strofinandosi la fronte perplesso.

«Ehm!  Veramente io sì», disse timidamente Carletto.

«Comunque non c’è più tempo da perdere, dovete cercare di riunire il quadro al più presto e sigillarvi il cuore. Purtroppo il nemico vuole passare al contrattacco e già sta lavorando per ostacolare la vostra attività, dovete assolutamente precederlo … », disse Camomile serio.

«È vero e se è possibile anche stasera, non c’è più tempo da perdere, dividetevi i compiti e portate avanti questa missione … », li esortò Lavander.

«Io direi di portarla a termine», disse una voce flautata, emersa dal nulla e accompagnata da una luce abbagliante familiare ai ragazzi.

«Buon pomeriggio, arcangelo Raffaele!», fu il saluto unanime degli angeli.

«Buon pomeriggio a tutti», rispose l’arcangelo leggermente flesso su un inchino. «Oramai siamo alla svolta finale, siete pronti per ripristinare il sigillo della potenza angelica nella vostra scuola e custodirvi il cuore del nemico?». I ragazzi si guardarono tra di loro stupiti e quasi increduli di quelle affermazioni a cui erano stati preparati per più di due mesi, ma davanti all’ora prestabilita si trovarono titubanti.

«Io sono pronto a combattere qualsiasi nemico! Dimmi cosa devo fare e lo farò», disse arditamente Carletto svettando in piedi e lasciando gli altri ragazzini di stucco; poi, mettendosi la manina sul cuore si inginocchiò di fronte a Raffaele, come un vero cavaliere.

«Anch’io sono pronta, non vedo l’ora di stanare il nemico e riportare la serenità nella nostra scuola», disse Andrea, balzando in piedi con i pugni stretti.

L’arcangelo guardò sorridendo i due bambini, posti dinnanzi a lui come due soldati, infine si rivolse agli altri e guardandoli in viso disse: «E voi, amici miei, come vi sentite?».

 «Io sarei anche pronto … se sapessi cosa devo fare», rispose Henry.

«Di questo non ti devi preoccupare, poiché lo scoprirai presto», rispose l’arcangelo, e rivolgendosi a Laura e John chiese energicamente: «E voi, siete pronti per portare a termine questa missione per la quale siete stati scelti?».

Laura in quel preciso istante fu attraversata da un’energia dirompente che la rinvigorì e, dopo un fremito che la fece guizzare in piedi, esclamò: «Certo che sono pronta e ho anche un piano da proporre».

Anche John si alzò in piedi, con meno baldanza dell’amica, ma con evidente curiosità per il piano che questa aveva da esporre e per la sua improvvisa vitalità.

«Bene Laura, illuminaci», la esortò Henry, avvicinandosi alla ragazzina che aveva già spianato davanti a sé la cartina della scuola, presa al volo prima di uscire di casa.

«Ecco qua ragazzi, avvicinatevi», disse e inginocchiandosi sull’erba, ancora tiepida per il sole pomeridiano, cominciò il suo discorso. «Questi sono gli altri due luoghi dove possono trovarsi le tele, uno nell’istituto Sant’Uriel e un altro in quello della scuola primaria. Io e John siamo gli unici che possiamo agire indisturbati, anche quando l’istituto è chiuso agli studenti, quindi ce ne occuperemo noi. Non è vero John?».

«Ce … certo», rispose il ragazzo, poco convinto; poi rivolgendosi al fratello sussurrò: «Ma che le ha preso? Era più impedita di me e ora mi sembra Giovanna D’Arco».

«Non so, ma tu hai ricevuto in dono il rametto, quindi sei tu il prescelto».

«Henry!», chiamò Laura rivolgendo i suoi occhi verdi al ragazzo che ebbe un sussulto al cuore per essersi sentito chiamato in causa. «Tu devi andare nell’atrio della scuola dove vi è il roseto senza spine e porre un cavalletto, lungo quanto più o meno potrebbe essere il quadro nel suo intero. Mi raccomando di non rovinare le rose e di lasciare lo spazio per un piccolo calderone».

«Carletto e Andrea», proseguì Laura con le sue direttive, «dovrete cercare di convincere don Lorenzo a portarvi a Santa Maria degli Angeli per prelevare il fuoco che non smette mai di ardere, prendere l’ampolla dell’olio sacro e la spada intarsiata di pietre preziose».

«Sì Capitano, agli ordini! Forza Andrea raggiungiamo don Lorenzo e cerchiamo di coinvolgerlo per ricevere il suo aiuto», si alleò Carletto con la sorellina.

«Sì andiamo!», rispose Andrea affrettandosi dietro al fanciullo che già stava facendo strada.

«Aspetta Carletto, ma non ci hai raccontato cosa hai fatto oggi in sacrestia? Perché sei entrato … e hai voluto fare il chierichetto?», chiese Laura.

«Cercavo qualche cosa che ci avrebbe condotto al quadro, ma don Lorenzo mi ha beccato sul posto e quindi ho dovuto inventarmi una scusa, ora andiamo, dai Andrea corri», rispose il bambino tirandosi la sorella per il braccio.

«Me lo dovevo immaginare», rispose Laura accennando un sorrisino malizioso.

Anche gli altri ragazzi corsero via, affiancati dai loro angeli, ognuno ripensando a suo modo a quello che avrebbe dovuto fare.

Cecile Caravaglios

To be continued

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