Nascondigli di cioccolato
Segue Diamante, video di Zucchero
Non vedevo l’ora che arrivasse Pasqua! Non mi importava per niente ricevere l’uovo con la sorpresa e anche le pecorelle di pasta reale mi lasciavano indifferente. La colomba, poi, non mi piaceva e non mi piace neanche adesso.
Ma fare le uova, quello si che era il momento magico, unico, emozionante della mia prima infanzia. Il nonno con la sua voce imperiosa ma sfumata di dolcezza mi chiamava dicendomi che era il giorno in cui io ero sicuramente pronta per fare l’uovo! Ero allora uno scricciolo tutto pepe e, in qualunque punto della casa o del giardino mi trovassi, in men che non si dica, mi piazzavo davanti al mio adorato nonno panciolino.
“Camarora sforzati picciridda, ca a fari l’ovu”. Mi accovacciavo davanti al nonno e mi trasformavo in gallina. I miei tentativi di imitarla, i miei gridolini acuti echeggiano fino alla torretta e tutta la famiglia veniva quindi a conoscenza del fatto che stavo facendo l’uovo!
Solitamente impiegavo almeno tre minuti prima di poter vedere, con lo stupore che faceva brillare i miei occhi, il magico uovo nelle mani del nonno: lo zucchero più bianco del bianco rivestiva uno spesso strato di cioccolato fondente: anche per questa Pasqua per pochi minuti mi ero trasformata in una feconda gallina!
La vigilia di Natale era invece il giorno in cui tutta la grande famiglia si ritrovava a fare festa tutti ma proprio tutti insieme.
Nella villa al Viale delle Sirene vivevamo durante tutto l’anno in sette. Naturalmente il nonno e la nonna Anna. La nonna vecchia, madre della nonna, che secondo il naturale corso degli eventi, rimasta vedova, veniva ospitata da genero e figlia. Per fortuna negli anni 50’ le case di riposo per i vecchi non erano ancora state inventate e la parola badante non era presente in nessun dizionario. La mia amatissima bisnonna infatti, rimase con noi fino alla sua morte, avvenuta nel 1962, quando avevo undici anni e la sua presenza era stata, fino a quel momento, la più importante della mia infanzia. Dire che la nonna vecchia mi voleva bene sarebbe come affermare che un elefante pesa quanto un topolino.
La nonna vecchia mi adorava al di là di qualunque quantificabile affetto. Ho sempre pensato e ne sono convinta anche adesso che mai nessuno mi ha mai amato quanto lei, non curandosi dei miei difetti di bimba viziata. Il suo trono era una sedia da regista posta a pochi metri dall’ingresso principale; con indosso la vestaglia amaranto di seta che la copriva fino alle caviglie, tirando tabacco costantemente, mi sorvegliava mettendomi in guardia dagli zingari che avrebbero potuto rapirmi. Di contro mio nonno sovente, soprattutto quando voleva punzecchiarmi, mi chiamava “tinta zingara croata”, date le mie origini slave. Per fortuna tali riferimenti negativi al mondo dei Rom non mi hanno influenzata e condizionata, poiché sono da anni vicina ad una famiglia kosovara che vive nel campo della Favorita.
Ero felice quando nei fine settimana, dopo sei grigi, piovosi, solitari giorni arrivavano gli zii con i miei sei cugini e finalmente potevo trascurare le mie quaranta bambole e giocare con loro, soprattutto a nascondino. Non so come mai i miei cugini non scoprirono mai il mio originale nascondiglio: in mezzo alle gambe della nonna vecchia, sotto la vestaglia amaranto, annusando anch’io un po’ di tabacco!
Luciana Zarini