Muriel – 33 Il quadro del bene

Muriel – 33 Il quadro del bene

Laura si guardò intorno e tirò un sospiro di sollievo nel riconoscere l’ambiente familiare della propria camera, respirando finalmente un attimo di pausa dopo quella lunga giornata ricca di emozioni. Vagò con lo sguardo per la stanza e in questa panoramica incrociò il sorriso di sua madre nella foto scattata insieme a lei e al suo papà durante la vacanza in Grecia e poi, seduto sul letto accanto a lei, scorse la figura del padre. Suo padre? Rivolse un’occhiata di complicità al proprio angelo e allarmata tornò immediatamente a rimettersi nelle proprie sembianze fisiche, prima che il genitore potesse insospettirsi. «Ciao papà», sussurrò aprendo gli occhi. «Laura, finalmente! Mi avevi fatto prendere un colpo, è un po’ che cerco di svegliarti, ma sembravi priva di sensi».

«Davvero? Avevo mal di testa, mi sono distesa e devo essermi addormentata», rispose la ragazzina tirandosi a sedere sul letto. Fu in quel frangente, che notò qualcosa che la fece allarmare: sulle ginocchia del padre c’era il libro degli arcangeli e l’orchidea stava nel cavo nella sua mano. Gliela sottrasse subito delicatamente, e tenendola fra le sue mani se la portò al petto. «Stai tranquilla, la stavo solo ammirando, è bellissima. Te l’ha regalata John, vero?». Laura stava per dire di no, ma cambiò subito idea e fece di sì con il capo.

«Lo sapevo, avevo capito da tempo la simpatia che questo ragazzo provava per te», commentò il signor Loreto con un risolino compiaciuto e sfiorando il libro con lo sguardo le chiese: «Come mai questa lettura così decisamente spirituale?».

«È stato John a consigliarmi di leggerlo, sai è un ammiratore segreto del mondo angelico», rispose Laura, con la prima cosa che gli venne in testa.

«Affascinante … e da quando?».

«Penso da quando ha parlato con don Lorenzo, secondo me è rimasto colpito dal fatto che lui sia uno studioso di queste entità», rispose Laura, stupendosi della celerità con cui produceva una bugia dopo l’altra.

«Ma dici sul serio?».

«Certo!».

«Eppure, a questo proposito, devo fare a John qualche domanda, perché ultimamente mi capitano cose molto strane. Mi è sembrato anche di sentire delle voci e, se non ricordo male, devo aver sognato di incontrare qualche essere di questo genere. Chissà, magari lui ha avuto la fortuna di conoscerne qualcuno personalmente». Laura, a queste parole perse il controllo della conversazione, cominciando a sudare freddo. Fu Violet che la scosse: «Laura, dobbiamo tornare immediatamente a scuola, metti il cuore in tasca e andiamo!».

«Papà scusami, ma io devo andare» e, balzando dal materasso, volò verso le scale per farle di gran corsa.

«Ma Laura, dove vai? … Ma poi … da quando vai a letto con le scarpe?», riuscì a malapena a dire il signor Loreto inseguendo la figlia, ormai arrivata vicino alla porta di casa.

«Papà, poi ti spiego, ho troppa fretta!» e, mandandogli un bacio con la mano, si chiuse il portoncino alle spalle. Si ritrovò in giardino, fra gli ultimi riflessi del tramonto e l’odore acre degli alberi.

«Ma come torno a scuola, devo andare con i mezzi pubblici, non posso lasciare il mio corpo in mezzo al giardino o in strada, se qualcuno mi dovesse trovare gli prenderebbe un colpo», disse fra sé e sé vagliando la situazione.

«Devi rischiare, magari ai margini del parco», le suggerì Violet.

«Aspetta ho un’idea, nella casetta sopra l’albero, ai confini della cancellata, lì non verrà nessuno», e senza aspettare la conferma di Violet sfrecciò, tra il verde del giardino, in una folle corsa contro il tempo seguita sempre dal suo angelo, super paziente. Attraversarono il parco, fino ad arrivare a limiti della cancellata, lì vi era un castagno molto grande e tra i suoi rami s’intravedeva una piccola casetta di legno. Laura si arrampicò sull’impervia scaletta di corda, costruita dalla sua combriccola, per potersi introdurre all’interno della casupola. Entrò e si distese tra la coltre di foglie, senza far caso ai vari piccoli ospiti che dormivano placidamente tra di esse, e lì lasciò il suo corpo fintamente assopito.

Si ritrovò immediatamente nell’atrio della scuola, tra i suoi amici che avevano gli occhi puntati su una nuova comica situazione di emergenza. Accanto al roseto, notò la figura indaffarata di Henry che, aiutato dal preside, cercava di sistemare il quadro nei pressi dell’aiuola, sotto l’occhio torvo della signora Germana e i risolini insinuati di Andrea, Carletto e John, spettatori passivi delle corbellerie che Henry propinava per cercare di tirare l‘acqua al proprio mulino.

Poco distanti da loro e dal roseto, poggiati sul pavimento, quasi all’imbocco del corridoio, stavano gli oggetti sacri, ben al sicuro: la spada dell’arcangelo Michele, il sacco del fuoco sacro e il fagottino contenente l’olio miracoloso. Nel passarli in rassegna si rese conto che il momento “clòu” doveva ancora arrivare, avvertendo una stretta allo stomaco. Preferì tornare ad osservare l’azione in corso, seguire le battute degli uni e degli altri intorno al quadro.

«Signor preside, ora dobbiamo staccare la prima e la penultima tela e sostituirle con queste», disse Henry indicando, con meraviglia, le pitture che aveva lasciato semidistrutte nel sotterraneo e che ora poteva ammirare ricostituite.

«Ma non se ne parla nemmeno», intervenne più acida che mai la signora Germana, con aria minacciosa. «Ma che ti sei messo in testa, di falsificare il quadro?».

«Signora, lei ha visto la scritta apparsa al centro del dipinto: “due son le tele autentiche e due quelle false … attenzione a non ricostituire il quadro non originale, poiché grandi pericoli e avversità incomberanno su questa scuola”», mentì con fermezza il ragazzo.

«Per dir la verità, io non ho visto niente e ancora sono convinta che questa sia una vostra manovra per prendervi beffa di me».

«Ma che dice signora, non mi permetterei mai, io ho molto rispetto di lei e, comunque, quella scritta puntualizzava la sostituzione di questi dipinti falsi con queste altre tele. Non vuole che succeda qualcosa alla scuola spero!? Signor preside glielo dica pur lei che ha visto la scritta!», si schermì Henry con tono implorante, cercando di tirare il preside dalla sua.

«Beh, in un certo senso sì, forse l’ho vista anch’io questa scritta e comunque, signora, vada a casa, si vada a riposare, oramai il suo lavoro qui è finito … ». Il preside smise di parlare all’avanzare insolente verso di lui della signora Germana che, dopo averlo quasi sfiorato con il corpo, si voltò di scatto verso Henry, intimandogli: «Ascolta ragazzo, io sto andando a chiamare Monsignor Ruggeri, l’unico che può verificare l’autenticità del quadro e voi non dovete toccare nulla, finché non torniamo insieme. D’altronde, è a lui che interessa il quadro, giusto?», e voltandosi, si trascinò fuori dall’atrio, seguita dagli sguardi di tutti. «Io non so cosa sia successo a questa signora, fino a qualche mese fa era gentilissima, ora invece è di una insolenza mai vista», disse perplesso il preside, portandosi la mano sulla fronte.

«Lasci stare signor preside e mi aiuti ad incastonare questa tela», rispose Henry cercando di staccare una cornice dalle giunture delle cerniere.

«Ti aiutiamo noi», intervennero i ragazzi in coro.

«Bene, passatemi il primo dipinto»,chiese Henry porgendo loro la presunta tela falsa e simultaneamente afferrando tra le mani la sfavillante pittura, ripristinata dal miracoloso unguento.

«Questo falso è impressionante, guardate anche voi John, Laura, Carletto, avvicinatevi se notate  il cuore, è di un color rosso porpora impressionante, e il Diavolo se lo tiene stretto al petto, nella sua discesa agli inferi.», disse genuinamente Andrea, rivolgendosi agli amici che si avvicinarono curiosi a scrutare il quadro. Ma Andrea aveva parlato liberamente davanti al preside, senza riflettere che Laura e John erano spirito e, di conseguenza, il preside non poteva vederli.

«Laura? John? Scusate, ma dove sono?», chiese perplesso il preside girandosi intorno, «ma qui non c’è nessuno di loro. Non capisco, ma con chi stai parlando?»,Andrea, presa in contro piede, non sapeva che dire e palesò il suo vacillante status mentale arrossendo dalla testa ai piedi.«Ho detto Laura e John? Scusate ho sbagliato volevo dire Carletto. Laura e John non ci sono, il mio è stato un Lapsus… scusatemi! ».

«Ora basta, continuate a lavorare non c’è più tempo da perdere, ogni minuto è diventato prezioso, il nemico si agguerrisce di minuto in minuto e cercherà di fermarci in tutti i modi.»,lamentò Raffaele ai ragazzini che cercavano di trattenere le risate rivolgendo loro un occhiata più eloquente del giudizio universale:«Scusaci Arcangelo, ma la scena è troppo comica»,giustificò Laura cercando di tornare seria.

 «Non mi sento bene ragazzi, esco un attimo a prendere una boccata d’aria fresca.»,disse confuso, il preside, asciugandosi la fronte e, guardingo si allontanò frettoloso.

Il quadro autentico doveva essere pronto prima dell’arrivo di Monsignor Ruggeri, previsto di lì a poco.

Henry inserì “La cacciata di Lucifero dal Paradiso senza il cuore” lungo la cerniera, mentre John, aiutato da Laura, sganciava la quarta tela dall’intelaiatura, quella che raffigurava la battaglia finale, e si adoperò per incastonare l’originale nella cornice.

Finalmente il quadro era stato ricostituito e per poter ammirare il risultato per intero i ragazzi fecero qualche passo indietro. Una meraviglia, sembrava rilucesse, ma lo stupore generale fu interrotto dallo sguardo angosciato di Laura, presa da un improvviso fremito: «Che hai», le chiesero subito preoccupati gli amici.

La ragazzina non sentiva il loro richiamo, fu avvolta da una fitta nebbia rossastra e da una nausea insopportabile. Il panico si impadronì di lei. Chiamò in soccorso i suoi amici, inutilmente, poiché la sua voce non risuonava nell’aria, era come ovattata; cercò di spazzare via la nebbia che la circondava muovendo le braccia e le mani nel nulla, ma la coltre che l’avvolgeva era diventata parte del suo spazio. Poi vide due fessure rosse fiammanti e un volto raccapricciante, simile a un dragone. Un istante e Laura si ritrovò tra le calde e potenti braccia dell’arcangelo Michele. «L’ho visto», disse con un fil di voce.

«Chi hai visto?», chiese John avvicinandosi all’amica che tremava.

«Ho … ho visto Lucifero … », sussurrò Laura a malapena. Gli angeli si guardarono fra di loro mentre l’atmosfera si faceva tesa.

«Dobbiamo sbrigarci», rincuorò gli animi Raffaele: «Andrea e Carletto andate a prendere il cavalletto in presidenza, serve per sistemare le cornici!».

«Aspettate, vengo anch’io ad aiutarvi e poi ho dimenticato una cosa sulla scrivania della presidenza», disse Henry accodandosi ai ragazzini che si erano già infilati nel corridoio dell’atrio. In quell’attimo l’aureola di Raffaele cominciò a mutare di colore, il suo sguardo divenne assente: l’arcangelo era in ascolto di qualcuno, e solo quando l’aureola ristabilì la sua solita luminosità si rivolse a Laura e a John: «Ragazzi io mi allontano un secondo, vado a dare un’occhiata alla signora Germana e al Monsignore. Non c’è da fidarsi e dobbiamo avere la sicurezza che il Monsignore arrivi sano e salvo qui. Abbiamo bisogno di lui per la preghiera esorcizzante, venite con me, starete più al sicuro ».

«No, preferisco rimanere qua, e poi non sono sola, con me c’è Violet», rispose Laura.

«Ed io rimango con lei, insieme a Camomile. Vai tranquillo arcangelo e torna presto», aggiunse John con uno sguardo rassicurante e profondo.

« Siete sicuri?»

«Sì, vai tranquillo», asserì nuovamente Laura, anche se stavolta non del tutto convinta.

«Ok, allora vado, mi raccomando, fate attenzione!».

In un attimo l’atrio si svuotò e, soprattutto, si oscurò poiché quasi tutti gli angeli, con la loro radiazione luminosa, si erano allontanati.Rimasti nella penombra, Laura e John si avvicinarono al quadro per ammirarlo, era un capolavoro di spiritualità. In quelle quattro tele vi era racchiusa tutta la storia del mondo spirituale, la perenne lotta tra il bene e il male, tra angeli e diavoli e la schiacciante vittoria finale del bene sul male. Un dipinto meraviglioso, attorno al quale turbinavano enigmi misteriosi. John e Laura erano rapiti da tanta bellezza e istintivamente le loro mani si cercarono e si presero. Fu un attimo e le immagini delle tele cominciarono ad accavallarsi alternandosi fra di loro, generando un vortice di colori sempre più veloce, che proiettò la ragazzina all’interno di quel paesaggio mistico. Appena dopo il vortice si sciolse, mentre le quattro tele si riposizionavano al loro posto. Laura ebbe solo un attimo per cercare di capire che cosa fosse successo, un attimo nel quale cercò il volto di John, che continuava a tenerle la mano ma la guardava molto preoccupato, poiché, se era in grado di assistere alla sua avventura altamente spirituale, non poteva impedire che accadessero cose spiacevoli e che l’ansia crescesse ad entrambi. A catturare la loro attenzione si aggiunse un piccolo raggio di luce che erompeva dall’ultima tela del quadro. La videro quasi per caso, con la coda dell’occhio e, per distinguere meglio la sua provenienza, si voltarono. Potentemente attratta da quel singolare bagliore, Laura allentò la presa dalla mano di John, allontanandosi da lui e avvicinandosi alla tela. John rimase solo e titubante, contemporaneamente la luce che si propagava dalla tela andava intensificandosi, costringendo Laura ad indietreggiare impaurita e a portarsi una mano sugli occhi, per fare schermo alla violenza della luminosità sempre più crescente.

«Ciao Laura», disse una voce dolcissima e vellutata.

Laura s’impietrì. Conosceva quella voce, l’avrebbe riconosciuta fra mille.

Piano, piano aprì le dita della mano per vedere cosa stesse accadendo e la vide lì, davanti a sé, bella e splendente, come non l’aveva vista mai.

«Mamma», gridò e con gli occhi colmi di lacrime si lanciò per abbracciarla, ma la figura la fermò: «No bambina mia, non puoi abbracciarmi, io sono spirito».

«Anch’io in questo momento sono spirito, perché non posso abbracciarti?».

«Tu potrai farlo solo se mi regali qualcosa a te caro, qualcosa di molto bello … per esempio l’orchidea rosa che hai in tasca: ho notato che ci tieni tanto. Solo in questo modo ci è concesso di riavvicinarci, poiché sarà il segno del tuo sacrificio d’amore per me».

Laura rimase molto turbata da quella richiesta, poiché in quel momento l’orchidea era il motivo della sua presenza di fronte a quel quadro; intanto le lacrime continuavano a sgorgarle dagli occhi e il suo cuore rischiava di esplodere; ma spinta dal desiderio di riabbracciare la madre, vinse ogni incertezza e, infilando la mano in tasca, prese l’orchidea, la guardò comunque come qualcosa di estraneo e, volgendo di nuovo i suoi occhi verso la madre, le tese la mano. «Ecco mamma, prendila», e con trasporto fece due passi in avanti. Anche la madre si mosse, ingrossando le proprie forme sotto la veste eterea che, come un velo di fuoco e fumo, lasciava trasparire masse rossastre e caliginose, incandescenti e buie ai margini, pesanti come marmo e invisibili subito dopo, per tornare più imponenti e spaventose di prima. Laura, in stato di shock non distinse più nulla, mentre John intuì al volo la rivelazione raccapricciante dell’inganno diabolico e, buttandosi sulla ragazzina, urlò fulmineo: «No, Laura, fermati, nooo!», spingendola qualche metro più in là, quasi vicino alla parete di fronte. Rimasero fermi qualche istante senza che accadesse niente; poi John, tenendo stretta a sé Laura terribilmente sconvolta, alzò il capo per guardarsi intorno, sembrava tutto tornato alla normalità, quando gli venne in mente il fiore: «Dov’è l’orchidea?». Aprì le mani di Laura, erano vuote, non c’era. Si girò di scatto, cercandolo come un segugio. Finalmente lo vide a terra, a pochi metri da lui, quasi accanto al roseto, non nella parte illuminata, ma in quella ombreggiata dal pilastro vicino all’aiuola. Si lanciò a raccoglierlo e lo custodì nella sua tasca con un gesto rapido. Si voltò per tornare da Laura, ma si ritrovò, faccia a faccia con l’essere più mostruoso che avesse mai visto. John non ebbe il tempo di rabbrividire che fu scaraventato all’altro capo dell’atrio, alla sinistra del quadro vicino all’inizio del corridoio, accanto alle scale, dove erano poggiati ancora gli oggetti sacri. Per un attimo fu buio pesto, poi lentamente John riprese coscienza.

Sollevò il capo per orientarsi, ma un forte dolore alla tempia lo costrinse a riabbassarlo, mentre sentiva qualcosa di umido e caldo scendergli accanto all’orecchio. ualcosa chQQuaaSpostò il braccio per capire cosa gli fosse successo e con la mano sfiorò qualcosa di metallico; ruotò di poco il volto per identificarlo e riconobbe subito accanto a sé la spada dell’arcangelo Michele! Senza nemmeno pensare la impugnò raso terra, cercando di rimettersi in piedi con tutta l’energia possibile. e la spianò davanti come un eroe greco. La spada, apparentemente pesante, gli risultò leggerissima e provò una soddisfazione enorme a protenderla in avanti, come un vero eroe greco. Nonostante la vista ancora offuscata per effetto della botta presa, scorse all’angolo del roseto l’ingannevole sosia della madre di Laura che tentava nuovamente di sedurre la ragazzina per farsi dare il fiore: il nemico non si era accorto che lui l’aveva nascosto nella propria tasca. Prese la rincorsa e, con un salto da atleta olimpionico, si scagliò contro quell’essere orribile, facendo fuori con la spada quella che doveva essere una mano. Immediatamente dopo John non riuscì a distinguere se fosse più tremendo il ruggito abominevole lanciato dal mostro ferito o il calcio sferratogli addosso che lo scaraventò ai piedi della vetrata; di certo percepì un dolore forte diffuso in tutto il corpo e le urla di Laura che, poco distante, assisteva al suo volo e al suo brusco atterraggio.

 Ancora una volta, a distanza di pochi minuti, tornò il buio per lui, aveva di nuovo perso i sensi. Ma questa volta, a cullarlo in quello stato di dormiveglia, c’era una voce soave che si staccava dal silenzio assoluto.

«Ciao John!». Il ragazzo dapprima non riuscì a scorgere nulla, per effetto della troppa luce che si era all’improvviso raddensata intorno a lui; poi gradualmente vide il viso della madre di Laura. Intimorito, tentò di tirarsi indietro facendo leva su gli avambracci.

«Non temere John, sono Muriel, la vera mamma di Laura, volevo ringraziarti per aver protetto mia figlia, dille che le voglio bene e che presto ci vedremo».

Il ragazzo non fece in tempo a rispondere che l’immagine scomparve, per dar spazio alla visione dell’arcangelo Gabriele.

 «Dove è andata la mamma di Laura, dov’è?».

 L’arcangelo gli sorrise e scuotendolo dolcemente lo esortò ad alzarsi.

«Dai John alzati, non è tempo di dormire! Qui abbiamo bisogno di te».

Il ragazzo sbatté le palpebre e ci mise qualche secondo per rendersi conto che era sdraiato a terra contro la vetrata dell’atrio. Lentamente iniziò a distinguere i volti angelici che gli sorridevano e quelli preoccupati dei suoi amici, e si ricordò quello che aveva appena vissuto.

«John svegliati, dai alzati!», ripetevano tutti ad uno ad uno.

Non riusciva a distinguere chi parlava, ma di una cosa si accorse, che tra quei volti non vi era quello di Laura.

«Dov’è Laura, come sta?», chiese preoccupato, mettendosi lentamente a sedere e avvertendo un dolore acuto in tutto il corpo. Si portò la mano alla fronte e si accorse di essere insanguinato; poi con l’aiuto di Henry riuscì a rimettersi in piedi.

«Come stai fratellone», gli chiese il ragazzo preoccupatissimo, porgendogli un fazzoletto per tamponare il sangue che gli scorreva dalla tempia e gli colava lungo il collo.

« Bene penso … Ahi! Il piede, non posso poggiarlo, ahi, mi fa male da morire!».

Tentando di ignorare il dolore, cercò con lo sguardo Laura e finalmente la vide seduta accanto al roseto, con il terrore sul volto. Si trascinò a fatica accanto a lei per dirle: «Laura, è tutto a posto».

La ragazzina alzò gli occhi verso di lui e accennò ad un sorriso. Rimasero in quello stato per alcuni minuti, finché in lontananza non li raggiunsero le voci del Monsignore e della signora Germana che discutevano fragorosamente. Il brusio di quelle chiacchiere scosse il ragazzo che, resosi conto immediatamente  dover fare ancora una volta presto, cercò di far riprendere Laura dallo shock, raccontandole il suo incontro speciale.

«Laura ho visto tua madre, quella vera».

La ragazza si voltò a guardarlo incredula e asciugandosi gli occhi gli donò la sua attenzione.

«Mi ha detto che vi vedrete presto e che ti vuole bene».

Laura cercò di mostrarsi contenta, ma nei suoi occhi c’era solo spavento.

«Laura ascoltami», le sussurrò il ragazzo prendendole la mano, ma questa trapassò la sua, era inconsistente; incredulo si tocco le gambe e l’addome e si accorse così di essere tornato nel corpo.

«Cos’è successo, com’è possibile?», voleva sapere John angosciato e con lo sguardo cercò Camomile.

« Jhon non è il momento per porti queste domande, è tempo di agire, avviciniamoci al quadro, c’è bisogno della presenza di tutti, soprattutto di Laura!», li richiamò tempestivo Raffaele, facendo cenno verso il centro della sala, dove era stato appena sistemato il quadro sul cavalletto che Henry, Andrea e Carletto avevano recuperato in presidenza.

«Allora, questo è il quadro con le tele false … e queste sono quelle vere?», chiese il Monsignore, dando uno sguardo al quadro e, nello stesso tempo, scrutando i dipinti tolti e poggiati a terra.

«Sì Monsignore, ora  è lei che dovrebbe riconoscere i falsi? L’ho portata qui appunto per dire a questi ragazzi che stavano commettendo un errore a cambiare le tele e… Ma Monsignore, che sta facendo!», esclamò acida la bidella, che cercava di capire che cosa stesse guardando il vecchio Monsignore.

Il prete, come tutti gli altri era incantato di fronte ad un vero e proprio miracolo: infatti davanti a loro la piccola spada, che i ragazzi avevano visto in una delle quattro tele, si era ingrandita a tal punto da ricoprire tutto il centro delle due tele di mezzo come se non ci fossero cerniere e telai.

La signora Germana fece appena in tempo a posare a terra lo scatolone, il cui contenuto si agitava con forza, che il Monsignore cadde in ginocchio come in trance: con le mani strette alla gola, ebbe un tremito che lo scrollò da capo a piedi e un rantolo simile ad un ruggito uscì dal suo corpo, lasciandolo inerme, ai piedi del quadro con la bava alla bocca. I ragazzi rimasero raggelati da quel grido raccapricciante, ma spronati dai loro custodi, si avvicinarono al vecchio Monsignore per soccorrerlo.

«Monsignore, come sta?», gli chiese Andrea asciugandogli il volto e la bocca con un fazzolettino di carta.

«Ora meglio cara, ma aiutatemi ad alzarmi, ho un compito da portare avanti», disse aggrappandosi al braccio di Andrea.

«Aspetti Monsignore, l’aiuto io», si fece avanti Henry.

«Io lo prendo da qui», rimase a dare il suo aiuto Andrea.

«Grazie, grazie, ma Laura dov’è? Laura dove sei? Devo chiederti una cosa?», disse il Monsignore, una volta in piedi.

«Sono qui».

«Scusami Laura, l’arcangelo Uriel mi ha appena riferito che voi avete copiato dei versi celati nel quadro: me li puoi passare per favore?».

Laura rimase interdetta per quella richiesta, fatta da chi fino a pochi minuti prima era ancora sotto il dominio del nemico.

Lo scrutò perplessa e si accorse che negli occhi del vecchio Monsignore splendeva una nuova luce, che la fece ricredere sul suo conto.«Sì Monsignore, ho copiato i versi del segreto del quadro ma io non li ho con me, li ho lasciati sul pavimento, quando sono scappata a prendere l’orchidea», rispose Laura, confusa e mortificata per l’essere stata così disattenta. «Laura ho io il biglietto, l’ho raccolto quando tu nella fretta sei andata via!», intervenne orgogliosa Andrea, sentendosi protagonista di un evento straordinario.

«Oh grazie Andrea, fortunatamente sei stata più veloce tu, poteva impadronirsene il nemico, grazie!», rispose Laura abbracciandosi all’amica. Poi, preso il foglietto da Andrea, lo consegnò al Monsignore, che sorrideva compiaciuto a quella tenera scena di amicizia.Nello stesso istante in cui Laura consegnava il biglietto all’anziano sacerdote, la signora Germana, con uno sguardo inferocito, prese da un sacchetto che stava dentro lo scatolone un sasso appuntito e lo scagliò contro il Monsignore, colpendolo al braccio con una forza sovraumana.

«Lo sapevo che era un traditore!», e con impeto gli tolse il foglietto dalle mani, tentando di distruggerlo.

John che in quel momento si trovava a pochi passi dalla bidella, riprese nuovamente la spada dell’arcangelo Michele rimasta tra il quadro e tutti loro e rapido colpì la mano della signora Germana, evidentemente sotto l’influsso del nemico, facendole saltare il sasso, oramai tutto insanguinato, che si andò a conficcare nel terriccio dell’aiuola, accanto all’altra rosa bianca. Disarmata, la signora Germana digrignò i denti, stramazzando al suolo in preda a tremori inconsulti. Henry, prendendo la fiaccola del fuoco eterno, posta accanto alle scale vicino al corridoio, si avvicinò ad osservare la bidella e si accorse, con ribrezzo, che dalla mano le fuoriusciva un liquido nero maleodorante.

«Ma la signora Germana, al posto del sangue, ha acqua di fogna?», disse il ragazzo tappandosi il naso.

«Henry non perdere tempo, porta qui la fiaccola, dobbiamo sigillare il cuore, presto!».

«Sì, si, scusate», e velocemente si avvicinò ai ragazzi che avevano nuovamente rimesso in sesto il Monsignore cercando di fermare, alla meglio, il sangue con il foulard che Laura portava al collo.

«Laura vieni, mettiti vicino a me e tieni pronta l’orchidea», disse il Monsignore, cercando di non vacillare.

Laura si avvicinò al Monsignore e, frugando nelle proprie tasche, si accorse di non avere più il fiore con sé: si voltò a guardare i presenti con aria disperata, ma John, accostandosi a lei, le disse: «Prendi, l’avevo conservato io, durante l’inferno di poco fa».

«Grazie! Oggi senza di te, non ce l’avrei fatta», gli disse con dolcezza, dandogli un bacio sulla guancia.

«No, non ci posso credere, ora cominciano a sbaciucchiarsi qui, in questo momento cruciale!». Laura arrossì per la battuta di Henry, e John fece segno al fratello di un imminente regolamento di conti.

«Bene, ora ci siamo!». Il Monsignore, con ardore ritrovato, aprì il biglietto davanti a sé, e prima di iniziare a leggere, si voltò verso i ragazzi , che trovò schierati dietro a lui, con i quattro simboli degli arcangeli nelle mani., che ognuno di loro si era premurato di recuperare. Compiaciuto, diede inizio al suggellamento: «San Michele con la sua spada ci difenda dagli attacchi del male …».

John, guidato dalla forza spirituale del pensiero di Camomile, protese verso il quadro la spada e, in quell’attimo, apparve qualcosa di straordinario: il simbolo della spada, che poco prima si era ingrandito e indorato sulla tela, si squarciò assumendo la forma di un cuore. I ragazzi sgranarono gli occhi di fronte a questo prodigio, immobilizzandosi.

Imperterrito, il Monsignore portò avanti il rituale, consapevole della necessità di non potere perdere tempo e quindi continuò a leggere: «San Raffaele risani con l’olio le ferite dell’anima procurate dal maligno … ».

Andrea, che teneva in mano l’olio, lo innalzò in alto, spinta anch’essa dalla forza spirituale di Roselin. Nello stesso istante, la signora Germana fu scossa da sussulti e rantoli e il suo sangue purificato sgorgò rosso vivo.

Il Monsignore proseguì: «Sant’Uriel con la sua fiaccola che brucia dell’amore eterno allontani i demoni … ». Henry sollevò la fiaccola e questa allargò le sue fiamme, da cui fuoriuscirono scintille e un balsamo rovente inondò il cuore di tutti i presenti i cui occhi brillarono di nuova saggezza.

«San Gabriele faccia fiorire in eterno la rosa immacolata contro l’invidia e la cattiveria di Satana … ». In quell’attimo la rosa brillò più bianca che mai accanto ad un’altra rosa bianca leggermente screziata di rosso, originatasi al posto del sasso appuntito, al fine di ricordare in eterno quell’evento.

«Questi quattro simboli suggellino il cuore di Lucifero, che rifiutò l’amore dell’Altissimo per rivalità, trasformandosi in orrenda creatura … ». Arrivato a questo punto, il prete fece cenno a Laura di avvicinarsi con il fiore, ma la ragazzina restava immobile con gli occhi pieni di meraviglia: miracolosamente l’orchidea aveva iniziato a palpitarle tra le mani fino ad assumere realmente la forma di un cuore umano. Iniziò a tremare, una nausea irrefrenabile la colse facendole sudare freddo. Non capiva cosa le stesse succedendo, cercò con lo sguardo gli arcangeli e incontrò il loro sorriso fiducioso. Si fece forza cercando di superare il panico e iniziò ad avvicinarsi alla tela, rispettando la lettura dei versi che il Monsignore, non meno meravigliato e scosso di Laura, continuava a leggere: « … per sua cupidigia tornò ad attaccare gli arcangeli alla ricerca del cuore, ma questo è stato consegnato a mani pure e da queste stesse mani celato nella tela, dove dimorerà in eterno».

Laura vacillò, non riusciva a fare un passo, come se fosse trattenuta da una forza misteriosa; nelle orecchie le risuonava il grido inumano del dragone e due fessure rosse apparvero davanti ai suoi occhi, disorientandola del tutto. Cadde in ginocchio sussultando, fu la voce dell’arcangelo Michele a ridarle forza e, di nuovo in piedi, allungò le braccia avvicinando il cuore palpitante allo squarcio della tela, dalla quale uscivano cascate di luce chiarissima. Non fece neanche in tempo a poggiarlo sul dipinto che questo lo inghiottì. Sembrò che tutto si fermasse e in quell’istante qualcosa le afferrò la caviglia, qualcosa di aguzzo che le procurò un dolore lancinante, stramazzò a terra senza sensi e poi il buio… «Laura, amore mio, mi vedi?». Laura si stropicciò gli occhi e rimase sospettosa davanti a quella visione che poco prima l’aveva ingannata. Furono attimi e si rese subito conto che quella era realmente la sua mamma e con slancio le si buttò al collo senza darle il tempo di parlare.«Mamma, finalmente ti abbraccio! Come stai? Io lo sapevo che tu eri ancora viva e ora ti rivedo! Oh mamma, sono così contenta, non ci posso credere!».

«Anch’io sono felice di abbracciarti, amore! Io sono sempre accanto a te e ti seguo in tutti i tuoi passi!». Laura la ascoltava a malapena, era felice e si beava di quell’abbraccio che non sentiva addosso da anni. «Mamma, posso rimanere qui con te?».

 «No, io devo andare, e tu hai tutta la tua vita davanti, hai ancora diverse cose da fare per te… e per gli Angeli!  Ogni tuo pensiero è nel mio cuore e sarò sempre al tuo fianco. Un ultima cosa, dì a tuo padre che lo amo ancora tantissimo, ma che è anche giusto che si rifaccia una sua vita».

«Ma perché, mamma, lui ha la sua vita», reagì Laura colpita da quelle parole inaspettate. «Ha il suo lavoro e soprattutto me, ti assicuro che è felice».

«Laura tu sei solo una bambina e non capisci che alle volte stare da soli è molto triste … state vicini», e dandole un bacio sulla guancia se la strinse forte al cuore. Poi sciolse l’abbraccio e iniziò ad arretrare. «No, mamma, aspetta, non te ne andare! Mamma dove sei! Non andare, ho bisogno di te!».

Cecile Caravagllios

To be continued

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