Muriel – 7 Lavan-dog
«Ehi John! Ultimamente non hai notato niente di strano in Laura? Sembra più … come potrei dire? … Più splendente?», chiese Henry al fratello mentre uscivano da scuola.
«Beh! Laura è stata sempre bella», rispose John con semplicità, scendendo gli scalini.
«Non intendevo dire questo: è più luminosa, nel senso che sembra quasi emani luce propria», affermò Henry, riflettendo tra sé e sé.
A queste parole, John si arrestò e, guardando fisso il fratello, gli disse un po’ perplesso: «Ma che vai farfugliando? Senti, ma ti stai prendendo una cotta per lei!?».
«Non ti preoccupare, non ti farei mai questo!», e affrettando il passo superò il fratello, un po’ seccato con se stesso per la sua stupida battuta. Non poteva sapere che anche John aveva notato il cambiamento di Laura e che non voleva ammetterlo, poiché era una novità che lo infastidiva abbastanza, insieme al fatto che la ragazza si era distaccata un po’. Percorsero in silenzio il marciapiede che univa la scuola al campo sportivo, attraversarono la strada e si fermarono accanto al parco pubblico. Come spesso accadeva, dedicarono uno sguardo di ammirazione agli alberi secolari, quando furono distolti da urla, dapprima lontane e poco chiare, poi sempre più forti e vicine. I ragazzi si sporsero dalla cancellata per cercare di capire cosa stesse succedendo. Tra la fitta vegetazione, riuscirono a distinguere un uomo che stava aggredendo una donna: le grida di disperazione erano le sue. Istintivamente John buttò lo zaino a terra e corse in aiuto della signora, lasciando di stucco Henry che, invece, rimase immobile dietro la recinzione: «Lavander, aiutali tu!», proferì con il fiato sospeso. In un baleno, da dietro un cespuglio apparve un grosso cane bianco che, digrignando i denti, si fermò di fronte all’uomo, minacciandolo. Il malvivente rimase stupito per un istante, ma non perse tempo a sferrare un calcio al cane, spingendolo più in là di qualche metro; l’animale si rialzò immediatamente e, scagliandosi con tutto il suo peso sul ladro, lo stese a terra, puntando le zampe anteriori sul suo corpo. Intanto, sopraggiungevano il custode del parco e una guardia giurata, che mise agevolmente le manette all’uomo immobilizzato dal cane, lo fece alzare, per poi dirigersi con lui verso l’uscita dal parco. Anche la polizia arrivava sul posto a sirene spiegate, frastornando le orecchie di John, già sul posto a offrire soccorso e coraggio alla signora. «Grazie ragazzo. Quell’uomo aveva un coltello e mi aveva minacciato burberamente».
«Non si preoccupi signora, l’importante è che lei stia bene e che il malfattore sia stato preso», rispose John guardando il cane che scodinzolava festoso.
«Si, ma se non fosse stato per il tuo cane, non penso che qualcuno mi avrebbe potuto aiutare», continuò la signora in lacrime, cercando con lo sguardo intorno a sé gli oggetti caduti dalla borsa.
«Signora, lasci fare a me», la pregò John, offrendole la mano per farla rialzare: porgendole poi il braccio, la portò fino ad una panchina a qualche metro da loro, accanto ad una siepe, e lei si adagiò rassicurata. Quindi, inginocchiatosi sul prato, allungò le braccia per recuperare gli oggetti seminascosti dall’erba e rimetterli al loro posto. Esattamente in questo momento, scodinzolando con vivacità, gli si avvicinò il grosso cane bianco, accostando il muso al suo volto. John si spostò per accarezzarlo sul dorso e, ritrovandosi a fissare gli occhi verdi del cagnone, disse fra sé e sé: «Non so chi sei, ma grazie».
«Dovere amico. A presto!», e, tornando dietro allo stesso cespuglio da cui era inaspettatamente fuoriuscito, il cane misterioso scomparve.
«Chi ha parlato?», urlò John terrorizzato.
«Giovanotto, che ti succede? Cos’hai visto? Stai bene?», chiese la signora muovendosi verso di lui: «Sei un po’ pallido. Guarda che io sto bene, non devi preoccuparti per me! ». Gli posò una mano sulla spalla e, prendendolo da sotto un braccio, lo aiutò a rimettersi in piedi.
«Sto bene, grazie signora. Ecco qui la sua borsetta, controlli se manca qualcosa: dovrebbe esserci tutto». Con il cuore che sembrava uscirgli dal petto, John raggiunse la panchina e si sedette sudando freddo.
«Grazie ragazzo mio, … ma tu non stai bene, sei troppo pallido».
«Stia tranquilla, signora, è tutto a posto, ecco lì c’è mio fratello che mi chiama. Mi scusi, ma ora devo andare, faccia attenzione», disse John, rincuorato dalla visione di Henry e, congedandosi dalla donna, lo raggiunse veloce; insieme si infilarono dentro la macchina del padre, che aspettava già da un po’. «Finalmente John! Henry mi ha raccontato tutto e specialmente del tuo coraggio. Sono fiero di te ragazzo mio! Ma di chi era quel cane bianco accanto a te?», John guardò il padre ma non riuscì a proferire parola, e lanciò un’occhiata ad Henry che venne in suo aiuto, raccontando di nuovo al genitore l’accaduto, con nuovi dettagli per intrattenerlo e distrarlo dallo sguardo del fratello, che intanto si era voltato verso il finestrino. «Non capisco: allora è stato il cane a parlare, non è possibile! Forse sto diventando pazzo», e il ragazzo, sprofondando nelle sue riflessioni silenziose, si mise una mano sulla fronte.
«Ehi, John!», reagì subito il padre che lo scrutava dallo specchietto retrovisore e, frenando morbidamente, accostò. Libero di girarsi chiese al figlio bianco come la cera: «Stai bene John?».
«Sì papà, ho bisogno di riposare. In fondo mi sono spaventato anch’io, ma non è niente, non ti preoccupare! Papà, ti ripeto che sto bene», provò a rassicurarlo John.
«Ok, figlio mio, non ti chiederò più niente. Più tardi magari, se te la senti, mi racconterai tutto».
«Va bene papà», replicò John distratto e sospirando adagiò la testa sul sedile della macchina, per cercare di sgombrare la mente da tutto. Non voleva più pensar … almeno per quel momento.
Cecile Caravaglios
To be continued