…continuando a camminare nel tempo

…continuando a camminare nel tempo

Quel giorno Sileno aveva deciso di prendersi un lungo momento di riposo. Il duro lavoro nei campi lo aveva stancato e così, lasciato il suo asino nella stalla con accanto una cesta di biada e preso con sé il flauto e un orcio di vino, stabilì di iniziare la giornata diversamente dalle altre. Solitamente gli piaceva, quando le stelle iniziavano a scomparire alle prime luci dell’aurorapercorrere i sentieri solitari e camminare tra gli alberi di eucalipto e di tiglio, i cui profumi, a quell’ora mattutina molto intensi, lo inebriavano a tal punto da fargli perdere la memoria del tempo, e non appena il lavoro gli permetteva un po’ di riposo, si rifugiava nel bosco, quasi una forza misteriosa che lo invitava a allontanarsi dai soliti sentieri per spingersi verso zone mai visitate. Così quella mattina si addentrò nel bosco con l’intenzione di percorrere viottoli e sentieri nuovi e sconosciuti. Aveva tutta la giornata davanti a sé e in più un orcio di vino! Cammina, cammina, arrivò alla radura in cui era solito fermarsi; un po’ di riposo e un goccio di vino, pensò, non gli avrebbero fato che bene!  Così si lasciò cadere, come di consueto, sul giaciglio di foglie da lui accuratamente rinnovato, affinché il suo peso non indifferente e la sua poco aggraziata figura potessero star comodi. Un lungo sorso di vino e, sotto l’ombra di un grande tiglio, chiuse gli occhi. Respirò profondamente, una, due, tre volte e già l’inebriante profumo del bosco stava intorpidendo la sua mente, quando l’insistente fischio di un merlo lo richiamò alla realtà, facendolo uscire da quel torpore. Aprì gli occhi e vide far capolino tra i rami dell’albero il giallo becco di un merlo. Di nuovo un fischio, poi un battito d’ali, un altro fischio, un fruscio…e il merlo gli si pose sulla spalla avvicinandosi a un orecchio. Sileno conosceva bene il linguaggio del bosco e dei suoi abitanti! In fin dei conti era uno dei numerosi figli del dio Pan!  E sua madre? Una ninfa, una delle tante ninfe del bosco che il padre aveva amato. Era una ninfa dei frassini? O dei salici che crescevano lungo il fiume? O forse dei tigli il cui profumo lo inebriava tanto? Sileno non la rammentava neppure. Una volta venuto al mondo, era stato allevato, fino a che il padre non lo aveva preso con sé, da tutte le ninfe che abitavano il bosco in cui era nato e cresciuto; tutte belle e gentili, lo avevano accudito con amore e con cura, lo stesso amore e le stesse cure che riversavano su tutti i piccoli nati, figli di Pan. Nessuna disparità o differenza da parte delle ninfe-mamma nelle carezze e nelle affettuosità; ma da parte del padre? Il sempre giovane dio Pan? Sileno ricordava ogni istante delle sue brevi apparizioni nel bosco. Allegro e spensierato giocava con tutti: un buffetto a un piccolo,  una moina a un altro, una carezza a una ninfa , un bacio a un’altra e mentre girava da una parte all’altra dello spiazzo con scherzi e risate, il suo sguardo cercava la ninfa più giovane, quella che non aveva ancora conosciuto; poi le si avvicinava, la blandiva con teneri modi e dolci parole e, dopo breve tempo, la portava con sé, lì dove una grotta li avrebbe tenuto al riparo dall’altrui curiosità. E per i figli? Nulla, nessun interesse; di molti non ricordava neppure il nome! Ma il suo sì, lo ricordava bene!  Anche durante quei brevi intrattenimenti, non c’era volta che non gli ricordasse, prima di andar via, la sua goffaggine, il naso camuso, le sue grosse labbra e, quando lo prese con sé una volta divenuto giovanotto, la sua pinguedine e l’incipiente calvizie! Come poteva dimenticare quei momenti e quelle parole! Erano rimaste stampate lì, nella sua mente, forse per sempre. Ed era cresciuto così, certo di essere brutto e grasso e anche l’immagine che gli rimandava l’acqua del fiume o dello stagno, dove spesso andava a specchiarsi, era quella: grasso, basso e calvo! Ma il fischio penetrante del merlo lo fece sobbalzare, allontanando così le immagini dei ricordi. “Non era necessario che mi fischiassi così forte! – gli disse toccandosi l’orecchio – Quasi non ci sento più. Cosa vuoi?” Il merlo sbatté le ali, chinò il capo e infine fischiò tre volte. “Ho capito – bofonchiò Sileno alzandosi a fatica – vuoi che ti segua”. E così, con il flauto in una mano e la borraccia del vino nell’altra, prese a seguirlo.  Cammina, cammina, zufolando Sileno e fischiando il merlo, arrivarono in un piccolo spiazzo su cui si aprivano due viottoli apparentemente uguali. Sileno si fermò. “Quale prendiamo? – chiese al merlo – Questo rivolto a mezzogiorno o questo verso occidente?” Così dicendo spostava la sua goffa e pesante figura da una parte e dall’altra dello spiazzo e continuò a muoversi in tal modo, fintantoché il merlo, dopo un breve volo di ricognizione, si fermò su un rovo di more selvatiche all’inizio del viottolo diretto a ovest. Nell’attesa Sileno aveva bevuto dall’otre un altro lungo sorso di vino e tutto soddisfatto si accingeva a continuare, quando il merlo batté con furia le ali fischiando ripetutamente, quasi a richiamarne l’attenzione; infatti non appena Sileno, messo da parte l’otre, imboccò quel sentiero, il merlo volò via. “Va bene, andrò da questa parte! – gridò Sileno all’amico mentre si allontanava – Non capisco perché, continuò sottovoce, ma va bene così, tanto per me un sentiero vale l’altro.” Sileno riprese, così, il cammino e  man mano che si inoltrava , vedeva il paesaggio cambiare: non più eucalipti e tigli, ma querce, abeti e castagni formavano una fitta distesa verde da cui passava a stento qualche raggio di sole già alto nel cielo; l’acqua si faceva spazio tra le radici e la roccia, dando vita alla sorgente di un ruscelletto impetuoso e torbido; il soffio del vento, lieve e gentile, creava un volteggiare armonioso tra i rami e le foglie; persino il profumo, forte e penetrante, e i colori del sottobosco, più intensi e decisi, mostravano a Sileno uno spettacolo nuovo, a lui sconosciuto. Così si fermò, lì dove la natura, quasi per incanto, aveva creato una zona che permetteva al passante di trovare riposo: uno spiazzo, infatti, consentiva di fermarsi e di ammirare uno scenario naturale talmente bello da mozzare il fiato. Affascinato dal luogo, girò lo sguardo tutto intorno, respirò a pieni polmoni, una, due, tre volte l’aria tersa e pulita; poi, posato per terra l’otre e lo zufolo, allargò le braccia come per abbracciare e far suoi i profumi, i colori e i suoni di quel posto incantato. E mentre chiudeva gli occhi per fissare meglio quelle magiche sensazioni, improvvisamente una melodia risuonò per tutto il bosco. Il suono era accattivante e a lui sconosciuto, per cui Sileno, sorpreso e incuriosito, decise di seguirlo e, con l’otre in spalla e lo zufolo in mano, si avviò all’interno del bosco. Camminò a lungo: il sole aveva raggiunto mezzogiorno, faceva caldo, il vino e il sudore appesantivano i suoi movimenti, per cui decise di fermarsi a riposare sotto un castagno. “Che faccio? – disse a alta voce, sedendosi su una nodosa radice dell’albero – Torno indietro o continuo a seguire questa strana melodia? Sono curioso di conoscere dove mi condurrà; ma mi sento stanco e il mio stomaco comincia a brontolare”.  Mentre rifletteva sul da farsi, si sentì pizzicare prima una caviglia e poi l’altra; scalciò così con la gamba destra poi con la sinistra, quasi a voler allontanare qualche sgradevole animaletto. Il pizzicore però continuava a aumentare, finché seriamente infastidito, colpì con l’otre prima una gamba e poi l’altra, come a voler rimuovere la causa di quel fastidio. “Ahi! – gridò – Sono proprio un grullo! Per difendermi da qualche stupido insetto, mi faccio perfino male!”. “Ti lamenti tu che sei grande e grosso! – disse una vocina – E che devo dire io che per poco non restavo schiacciato dalla tua borraccia!”. “Chi sei? – continuò Sileno rimpicciolendo gli occhi per vedere meglio – Avvicinati e fatti vedere!”  “Per farmi ammazzare?” – rispose la vocina – Non ci tengo proprio a morire spappolato! E pensare che volevo aiutarti!”. “Aiutarmi? E come? -domandò Sileno -” “Io non sono sciocco come te! Prima di tutto, – proseguì la vocina – promettimi di non farmi male in alcun modo, poi di ascoltarmi attentamente e infine di darmi la metà di ciò che ti farò trovare”. Sileno rimase in silenzio e pensò. ‘È forse uno gnomo dispettoso? Se lo è, prima mi farà scavare per trovare il tesoro e poi lo porterà via senza dividerlo. O un elfo? In genere gli elfi sono inoffensivi ma poco affidabili. Sarà per caso uno spirito del bosco?’ “Quanto tempo ti occorre prima di rispondermi? – riprese la vocina con tono irritato, interrompendo il corso dei suoi pensieri – Deciditi in fretta.  Ho urgenza di tornare a casa”. “D’accordo. Ti prometto che ti darò la metà di ciò che mi farai trovare”. “Giura”. “Giuro”. “Bene. Allora vienimi dietro”. E all’istante uno scoiattolo balzò da una radice del castagno sulla spalla destra di Sileno. “Oh! Ma sei soltanto uno scoiattolo! – esclamò sorpreso Sileno – Come puoi aiutarmi? Io ho fame e sono stanco e tu non sei altro che uno scoiattolo fastidioso e pure impertinente.” “Come sei noioso! Prova a fidarti e vedrai.” Così dicendo, rapido come una saetta, si avviò per il bosco, fermandosi di tanto in tanto a attendere Sileno che, con la sua mole, riusciva con fatica a stargli dietro. Dopo un tragitto non troppo lungo, lo scoiattolo si fermò sotto un grande albero di nocciole e mentre attendeva che Sileno lo raggiungesse, si guardava intorno con circospezione, con l’atteggiamento di chi teme di essere spiato. “Alla buon’ora! – disse, rivolgendosi a Sileno che ansante e trafelato si lasciò cadere per terra – Finalmente sei arrivato! Sembra che hai percorso miglia e miglia, quando non hai fatto che poche centinaia di metri!”. “Non solo sei fastidioso ma pure petulante! – esclamò Sileno ancora ansante – Ebbene, dimmi dov’è il tesoro, così lo dividiamo e poi ognuno andrà per la propria strada”. “Ma di quale tesoro stai parlando? – chiese lo scoiattolo continuando a girare intorno al grande tronco – Io ti ho detto che ti avrei dato la metà di qualcosa, ma non del tesoro che tu hai in mente! E ora aggiungo: te la darò a una condizione.” “Pure sleale sei! Cambi l’accordo in corso d’opera! – disse incredulo Sileno sgranando gli occhi – Ma dimmi, quale sarebbe la condizione?”. “Che mi aiuti a portare a casa ciò che ti farò trovare. – aggiunse lo scoiattolo – Se mi aiuterai, potrai mangiare e poi ti indicherò come arrivare presto e senza fatica nel luogo magico della melodia che tanto ti incanta.  “Pur di mettere fine a questo supplizio, accetto ogni tua condizione” – rispose Sileno mentre a fatica si alzava da terra. Non aveva ancora finito di parlare, che lo scoiattolo iniziò a scavare alacremente lì dove una radice dell’albero aveva col tempo formato una buca. Scava e scava, nel tronco si aprì una fenditura, prima celata da rami e foglie secche. “Su, aiutami! Metti dentro la mano e cerca! – riprese spazientito lo scoiattolo – Più a destra, no a sinistra, ora in fondo.” E continuò per un po’ a dirigere i movimenti della mano di Sileno, finché: “Mi sembra di aver trovato qualcosa! – esclamò Sileno – Ma è umido e appiccicoso. Di che si tratta?” – domandò. “Riempiti la mano e vedrai” – rispose lo scoiattolo. Con un certo disgusto, Sileno cercò di afferrare con la mano quanta più roba poteva. “Ma sono nocciole ancora fresche!” – disse stizzito. “Sicuro! E pure tante! –  affermò saltellando per la gioia lo scoiattolo – Aiutami a portarle fino a casa, per favore!”. “Finalmente un po’ di buona educazione! – gli disse mentre rigirava tra le mani le nocciole – D’accordo, ti aiuterò. Ricordati, però, che metà sono mie.” Così dicendo si tolse la camicia e, dopo averla poggiata per terra accanto alla fenditura dell’albero, cominciò a riempirla di nocciole. Erano così tante, che riuscì a stento a contenerle in quella sacca improvvisata e legatola come meglio poteva, disse: “Vai verso casa e io ti seguirò”. Camminarono così attraverso il bosco, uno avanti, veloce ma attento a vedere se l’altro lo seguiva e l’altro dietro, trascinando a fatica se stesso, la sacca-camicia su una spalla, l’otre e lo zufolo a tracolla.  “Ecco, siamo arrivati”. – disse lo scoiattolo fermandosi davanti a una quercia. Velocemente si arrampicò sull’albero, si fermò su un ramo e, indicando una cavità nel tronco aggiunse con orgoglio: “Questa è la mia casa!” In quel momento, uno scoiattolo femmina uscì dal foro: si muoveva a fatica, camminando con prudenza sul ramo. “Dove sei stato tutto questo tempo? – domandò irritata allo scoiattolo – Io sono qui ad aspettare i tuoi comodi: entri, esci, vai, ritorni senza occuparti della casa! – prese un attimo fiato e continuò stizzita – Il tempo è quasi finito e ci sono ancora le stanze da ampliare, le culle da definire, la porta da costruire, il cibo da cercare…”. “ Basta basta ti prego! Farò tutto, te lo prometto – disse con calma lo scoiattolo – Ora vorrei presentarti un amico: questo è Sileno”. Poi rivolgendosi a Sileno: “Come avrai già capito, questa è mia moglie e la dolce attesa la rende nervosa”. Sileno che aveva osservato divertito quel quadretto familiare e non vedeva l’ora di allontanarsi, facendo un grande inchino, replicò: “Felice di conoscerla, Signora scoiattolo! Come vede le ho portato il cibo – continuò indicando il mucchio di nocciole – credo che le basterà per tutto l’inverno”. La Signora scoiattolo, sgranò gli occhi per un istante, poi, riavutasi dalla sorpresa, assunse un aspetto sussiegoso e con voce acuta disse: “Gentilissimo Signor Sileno, mi stupisce che un signore così gentile e per bene come lei appare, sia amico di quel perdigiorno di mio marito che passa tutto il tempo a saltare da un albero all’altro alla ricerca di giovani scoiattole da corteggiare e mi lascia qui da sola ad aspettare il suo ritorno.- e alzando ancora di più il tono – Ma vedrà, come cambieranno le cose non appena avrò messo al mondo le mie creature!”. E con questa minaccia rivolta forse a l’uno o forse all’altro, girò su se stessa e rientrò nella cavità del tronco. “Non ci far caso – disse lo scoiattolo – da quando è incinta fa sempre così”. Poi con incredibile velocità, porto sù quasi tutte le nocciole, lasciandone una piccola quantità a Sileno. “Non sono stato ai patti è vero, – riprese – ma l’inverno sarà lungo e avrò molte bocche da sfamare. A te queste basteranno. Sei quasi arrivato nel magico luogo della musica. Vai verso destra e tra qualche centinaio di metri, vedrai un ruscello dall’acqua color dell’argento; segui la sua riva finché non troverai un salice dai rami così frondosi da formare una parete. Attraversala e sarai arrivato. Addio!”. Così dicendo sparì dalla vista di Sileno. “Neppure un grazie – disse ad alta voce Sileno mentre raccoglieva la sua roba – sciocco, sciocco, sciocco tre volte sciocco io che pretendo un grazie!”. E stava per avviarsi deluso verso il sentiero di destra, quando sentì un formicolio lungo la gamba. Un attimo dopo lo scoiattolo era arrivato alla sua spalla e gli sussurrò: “La mia Signora si era addormentata e non volevo farmi sentire. Grazie, sei stato davvero un . amico. Le nocciole sono tante e i piccoli stanno per nascere. Da solo avrei impiegato troppo tempo per portarle da una parte all’altra. Ciao amico, buona fortuna!”. Così dicendo andò via veloce come una freccia Sileno continuò il suo cammino sgranocchiando le nocciole; ne metteva in bocca tre, quattro per volta così da assaporarle meglio e cammina cammina, dopo un po’ vide il ruscello d’argento, lo costeggiò finche non arrivò al salice dalle lunghe e spesse fronde, così come gli aveva detto lo scoiattolo. Esitò per un attimo. “Vado oltre o torno… -esclamò- ma non ebbe il tempo di finire, che una musica, quella soave musica che all’inizio del suo cammino sentiva nell’aria, si diffuse per tutto l’ambiente circostante. Senza indugio, Sileno attraversò la verde parete: era davvero fitta, come a voler nascondere qualcosa.  Con la sua possente mole si fece largo tra i rami e non appena ebbe allontanato l’ultima fronda dagli occhi, uno spiazzo pieno di sagome danzanti, di canti e di suoni apparve. Rimase sbalordito e cercò di mettere a fuoco tutto ciò che vedeva; ma la distanza era tanta e per avvicinarsi doveva attraversare il ruscello. Non appena questo pensiero gli balenò alla mente, una serie di grossi massi venne fuori da quelle acque argentate. Senza pensarci due volte, Sileno balzò prima su un masso, poi su un altro, poi su un altro ancora, senza alcun timore anche se con la sua mole era difficile mantenere l’equilibrio, finché non raggiunse l’altra sponda. Respirò profondamente più volte, quasi assaporando l’aria: si sentiva felice in quel posto, lo sentiva suo, come se ci fosse sempre stato. Con aria allegra continuò ad avvicinarsi… e il suono divenne più intenso, il canto più melodioso e le sagome, da lontano senza forma, si facevano sempre più nitide. Una di queste, gli stava venendo incontro e man mano che si avvicinava si mostrava a Sileno nella sua splendida figura: una giovane fanciulla bellissima nell’aspetto, dal sorriso seducente, dai lunghi capelli ricoperti di fiori dai diversi colori, rivestita di foglie intrecciate che mettevano a nudo le forme perfette. “Una ninfa! – esclamò con voce sorpresa Sileno – Una ninfa dei boschi! – ripeté”. E quale non fu la sua meraviglia nel vedere quella splendida fanciulla prenderlo per mano e trascinarlo con dolcezza verso lo spiazzo dove altre ninfe danzavano con grazia cantando dolci melodie! Non appena ebbe raggiunto il centro, gli si fecero intorno le altre e, disponendosi in cerchio, iniziarono un giocoso girotondo: erano dodici bellissime ninfe dai movimenti sinuosi e sensuali, succintamente rivestite di foglie lucenti come quando il sole le bacia a primavera inoltrata, tutte dai lunghi capelli colore dei tronchi degli alberi in rigoglio.  Danzavano e cantavano…e Sileno guardava stupito, cantavano e danzavano… e Sileno le seguiva con lo sguardo roteando su se stesso, danzavano e cantavano…e Sileno, gira gira, gira, cadde pesantemente per terra e insieme a lui arrivarono per terra il flauto e l’orcio di vino che una volta rotto fece uscire tutto il contenuto. Cristalline risate, a vedere l’accaduto, si sparsero per l’aria. Poi, a una a una e con fare gentile, le ninfe gli si avvicinarono: chi raccolse il flauto, chi i cocci dell’orcio, chi lo accarezzava, chi lo aiutava ad alzarsi e mentre si alzava, lo sguardo si posò sul vino sparso nella terra e… quale meraviglia! Quelle gocce di vino rosso, piano piano, prendevano forma: tanti piccoli fiori di colore vermiglio riempivano adesso il terreno. A quel punto, una di loro si chinò a raccogliere i fiori e iniziò a intrecciare una corona che, una volta finita, pose al collo di Sileno, poi disse: “Benvenuto Sileno. Vieni, siediti accanto a me – così dicendo lo condusse lì dove il tronco di un eucalipto formava un sedile. Si sedettero mentre le altre ninfe si disposero a corona – Mi presento: il mio nome è Lucus e proteggo questo sacro bosco e queste sono le mie sorelle – continuò indicando le ninfe – Esse portano il nome degli alberi che difendono dalle mani devastatrici dell’uomo: questa è Salix, colei che è posta a guardia del grande salice situato all’ingresso del bosco; alla sua destra c’è Quercus, e accanto a lei  Pinus, – e man mano che pronunziava il nome di una ninfa, questa si faceva avanti e infilava una corona delle loro foglie al collo di Sileno – poi c’è Ulmus,  e vicino a lei Castanea, poi Ilex, e ancora Cupressus e Abies, Euchalyptus, e Sycomorus e infine Tilia, la più giovane, anche se qui vige l’eterna giovinezza, – continuò con voce ancora resa più tenera  – Tilia è colei che ha partorito per ultima e il cui figlio Pan le ha portato via una volta cresciuto”. E mentre diceva così, Tilia si avvicinò a Sileno, gli pose al collo una corona di foglie di tiglio il cui odore lo inebriò talmente da fargli chiudere gli occhi. E sognò Sileno… e si vide neonato tra le braccia di una fanciulla che lo stringeva a sé, che lo guardava con amore e gli cantava dolci nenie; e sognò Sileno… e si vide bambino che muoveva incerto i primi passi, e quando cadeva due mani erano pronte ad alzarlo; e sognò Sileno…e si vide appena  più grande correre tra le piante giocando a nascondino e poi camminare di sera per il bosco senza paura, perché una mano più grande stringeva la sua e ogni volta alzava lo sguardo e vedeva Tilia che gli sorrideva; e sognò Sileno…e si vide ragazzino triste e sconsolato perché Pan, strappandolo da quel luogo, lo portava via con sé per obbligarlo a lavorare a servizio degli uomini;  e sognò Sileno…e si vide già grande e grosso, col naso camuso e l’incipiente calvizie. Aprì gli occhi di colpo e per un istante fu circondato dal buio. Poi, a poco a poco, i suoi occhi iniziarono e vedere e, girando lo sguardo, si ritrovò nella radura in cui si era fermato al mattino. Che strano – pensò – è ancora giorno e sono ancora qui. Mi sarò addormentato, ma quel profumo di tiglio…”. Non appena la parola tiglio tornò alla sua mente, Sileno ricordò ogni cosa; il merlo, lo scoiattolo, il bosco, le ninfe, Tilia. “Tilia è la mia mamma – gridò – ne sono certo! Tilia è la mia mamma! Tilia, Tilia Tilia – ripeteva felice, girando su se stesso – l’ho vista, è lei ora lo so! Come sono felice!”. Saltava e rideva: si sentiva quel bimbo felice che correva nel bosco sicuro di non perdersi perché la sua mamma era con lui. Assaporò quella gioia a lungo, certo di non essere più solo. E con una sicurezza in più: anche se per tutti poteva essere grosso, goffo e calvo, a lui non importava; la certezza di  avere una mamma che lo amava lo rendeva felice e questo gli bastava.

Licia Adalgisa Callari

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