In un tempo che non c’è più – Terzo tempo

In un tempo che non c’è più – Terzo tempo

Una volta tornato al castello, dopo aver lasciato l’esercito degli squali a pattugliare le coste, re Nereo fece conoscere la proposta del re Tritonio alla regina e la sua decisione di non rispettare il patto. Ma la regina Doride l’apostrofò dicendo: “Non puoi, non puoi venir meno alla parola data. Sei un re e i re non violano i patti! – poi aggiunse con forza – Una volta fatto l’accordo, questo deve essere mantenuto. Ricordati che stiamo parlando delle nostre figlie! Augurati, anzi prega, che vengano ritrovate e poi, una volta a casa, se lo vorranno sposeranno chi le ha salvate”. “Non posso permetterlo – ribatté il re tutto stizzito – no davvero! Quei tritoni bifolchi e ubriaconi accanto alle mie figlie, le perle dei miei occhi! Mai”. Così dicendo, andava su e giù lungo la sala del trono, paonazzo nel volto e cupo nello sguardo. “Ti prego, prova a calmarti! –  riprese con voce suadente la regina, accarezzandogli il viso – Non tutti i tritoni sono ambigui e rozzi. Il tuo è soltanto un pregiudizio. Ragioni così perché l’opinione comune pensa che il popolo dei tritoni abbia queste caratteristiche, ma i villani e i cafoni li trovi dappertutto; – poi sorridendo aggiunse – anche tra di noi”. “Boh… forse… chissà…” – bofonchiò Nereo già rabbonito – mentre si toglieva elmo e corazza. Poi, sedendosi sul trono, aggiunse: “Se torneranno a casa sane e salve, prima di onorare il patto, vorrò sapere ogni cosa su re Tritonio e sugli altri ventinove tritoni: il casato di appartenenza, le onorificenze, i blasoni…tutto,”. “Fa’ pure, – rispose la regina baciandolo in fronte – è conveniente che le nostre figlie abbiano come marito un parigrado, nella vita di coppia si comprenderebbero meglio. Ricorda, però, che la nobiltà dell’animo non si misura né dagli stemmi né dal titolo onorifico né dalle ricchezze. Ora ti lascio e vado a riordinarmi. Tu, intanto, riunisci la corte. Ormai le prime luci dell’Aurora vincono sul buio della Notte e il cuore mi dice che le nostre figlie stanno per tornare a casa”. Il richiamo del suono di una conchiglia, radunò la corte nella sala del trono che in breve tempo si riempì di dame e damigelle, di notabili e dignitari, mentre la servitù restava ai limiti della grande sala, tutti in trepida attesa del discorso del re. E mentre re Nereo prendeva posto sul trono con la regina Doride al suo fianco, un’enorme nuvola dalla forma di palla entrò rotolando nella sala, fermandosi dinanzi al trono. Da quel groviglio di polvere e sabbia venne fuori il polpo gigante, il portinaio del castello. “Vostre maestà – disse con voce affannosa, agitando in maniera scomposta i suoi tentacoli – ho lasciato in tutta fretta il mio posto di guardia per venire a comunicare una notizia bellissima: un lungo corteo di abitanti del mare si sta avvicinando alle nostre coste tra suoni festosi di conchiglie e canti soavi di sirene”. Poi, tranquillizzatosi, continuò: “Le nostre principesse, le vostre figlie, aprono il corteo cavalcando le onde sul dorso dei delfini con accanto i tritoni a fare da scorta. Ecco, ho detto e ora torno di corsa all’ingresso”. E si allontanò precipitosamente. A un primo istante di sbigottimento seguì un momento di gran confusione: tonni e merluzzi, sogliole e sardine, dame e dignitari di corte correvano da una parte all’altra, come in preda a una strana esaltazione; i saraghi imperiali cominciarono a dare fiato ai loro strumenti, prevedendo di suonare da lì a poco l’inno regale. Nel contempo, “Presto, presto – gridava Nereo, dimenandosi in maniera poco regale – il mantello di porpora…, il diadema delle feste…, il tridente…dov’è, dov’è il mio tridente? – chiedeva agitandosi sempre di più – Le mie figlie stanno per arrivare e io non sono ancora pronto!”. In quella baraonda, l’unica a mantenere una regale dignità era la regina: con calma, tirò fuori dalle pieghe del vestito un pesce fischietto e lo strinse così forte tra le mani che quello emanò un fischio talmente potente e fragoroso da obbligare tutti a tapparsi le orecchie o rintanarsi nella sabbia. Da quel momento in poi, al frastuono subentrò il silenzio. Ognuno ritornò al proprio posto e il re, vestito di oro e porpora, con in capo il diadema delle feste e il tridente ben stretto nella mano, con fare maestoso ordinò: “Che si spalanchino le porte e entri il corteo!”. All’aprirsi delle pesanti porte, una variopinta folla riempì la sala: apriva il corteo uno stuolo di oceanine, sirene e ondine, seguivano gli eleganti ippocampi e i rumorosi tritoni, poi le trenta Nereidi e infine i trenta tritoni con al centro il loro re. Una volta raggiunta la parte centrale della sala, le principesse e i tritoni si fermarono, aspettando l’invito del re per avanzare.

Licia Adalgisa Callari

To be continued

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