Muriel – 3 Il profumo delle due
Quella mattina Laura si svegliò più presto del solito. Sollevò leggermente le palpebre, il minimo per rendersi conto di essere appena sveglia. Si raggomitolò su se stessa, rallegrandosi delle prime luci mattutine che si facevano strada attraverso le fessure delle persiane semiaperte. Stare sotto le coperte, pensando che fuori c’era freddo, era fantastico; erano tirate fin sul naso lasciando scoperti solo gli occhi, che cominciavano a guardare gli oggetti attorno con minuziosa attenzione. Si poggiarono sulla piccola libreria, accanto alla scrivania, sovraccarica di libri di tutti i generi, soprattutto di romanzi fantasy.
Poi, come pilotato dall’esterno, il suo sguardo si soffermò sul comodino, a guardare ancora per l’ennesima quella foto dove una bambina felice rideva abbracciata dai suoi genitori. Erano già passati tre anni da quello scatto. Si trovavano al mare, in Grecia, posto bellissimo scelto dalla mamma per l’estate. Le sue labbra si curvarono all’insù, al ricordo di quella dolce vacanza, l’ultima trascorsa insieme. Sì, perché, subito dopo, al rientro in città, la mamma cominciò ad accusare qualcosa, un dolore occasionale al petto, a volte esteso al braccio sinistro, finché un giorno di fine ottobre, durante l’ora di religione Laura fu chiamata in presidenza.
Ad aspettarla c’era il signor Scott, che le riferì che sua zia si era sentita male a casa sua e che dovevano quindi recarsi lì. Laura si chiese perché non fosse andato a prenderla suo padre, ma non disse nulla. Si ricordò che lungo il tragitto in macchina tremava come una foglia, e che le sembrava che la temperatura fuori fosse scesa di dieci gradi, nonostante il signor Scott tentasse di tranquillizzarla. In un istante, le ripassarono per la mente le scene di quella mattina orribile: la barella davanti casa, il padre che le correva incontro per abbracciarla, il suo rifiuto di vedere la mamma distesa sul letto, posto all’interno del salone, e le lacrime, che non finivano più di scorrerle sul viso.
Ebbe un fremito, cercò di divincolarsi dal peso delle coperte e, con l’aiuto delle braccia, si sedette sul letto con le gambe a ciondoloni. E piangeva, in silenzio, con le palpebre basse: quei ricordi, nonostante fossero trascorsi tre anni, erano ancora vivi nel suo cuore. Sentì dei rumori nella stanza accanto e capì che suo padre doveva essersi svegliato e che stava andando a preparare la colazione. Scese dal letto, s’infilò la vestaglia e, asciugandosi le guance con le mani, scese le scale di corsa.
«Buongiorno papà!», esclamò buttandosi fra le braccia del padre, che la baciò con dolcezza.
«Buongiorno Lauretta, sbaglio o abbiamo fatto tardi ieri sera con i ragazzi? Tu hai pianto? Che ti è successo, amore mio?», le chiese, notando gli occhi lucidi della figlia.
«Niente papà, pensavo alla mamma, mi manca!».
Il padre, la strinse a sé ancor di più, accarezzandole i capelli.
«Manca anche a me, tesoro mio, manca anche me!».
Rimasero stretti per un po’. Poi Laura si staccò, si avvicinò alla finestra e, sprofondando nella poltroncina posta lì accanto, tirò su le gambe, le avvolse con le braccia e poggiò il volto sulle ginocchia. Guardò fuori tra i cespugli del giardino e sorridendo disse: «Il cielo ieri sera era stupendo. Sai papà all’improvviso è stato attraversato da una luce meravigliosa, sembrava una comet … ».
«E non era una cometa?».
«Beh, all’inizio sembrava di sì: ma avanzava con un movimento a spirale, aveva un colore indefinibile fosforescente inoltre abbiamo avuto la sensazione di avvertire un profumo di fiori … bellissimo!».
«Davvero?», esclamò il signor Loreto voltandosi a guardare la figlioletta, «secondo me, avete esagerato un po’ con la TV. Ora, amore mio preparati che devi andare a scuola ed io al lavoro».
Adagiando le ultime cose sulla tavola si sedette, facendo cenno alla figlia di avvicinarsi. Laura lasciò la poltroncina a malincuore e pigramente si andò a sedere accanto a suo padre, che aveva già iniziato a bere il suo caffè.
«Papà, tu credi nell’esistenza degli spiriti?», chiese la ragazzina leccandosi le dita impiastricciate di marmellata.
«Laura, oggi mi sembri un po’ strana, non so che dirti, forse sì, anche se non so fino a che punto».
«Carletto crede che dietro le stelle si nasconda qualcosa, ma neanche lui sa che cosa, e anch’io ieri ho notato qualcosa di strano. E poi quel profumo … uhm! Sapeva di buono, era così inebriante!», sospirò Laura con gli occhi socchiusi e un vago sorriso sul volto.
«Bene, bene vedo che tu e Carletto navigate sulla stessa onda di stranezze!», commentò il papà, dando un’occhiata alla figlia e, alzandosi di fretta, la baciò sulla fronte. «Io vado a prepararmi, sbrigati, se no facciamo tardi».Senza farsi pregare la ragazzina, ingoiò l’ultimo boccone di crêpe, bevve un sorso di latte e si precipitò di sopra per sistemarsi.
Le ore di scuola passarono in fretta e, ben presto, il suono della campanella indicò la fine delle lezioni e il tanto sospirato ritorno a casa per i ragazzi.
La giornata era splendida, il sole giocava a squarciare le nuvole con fasci di luce, che precipitavano sulla terra con un’energia surreale.
«Sai Andrea, credo che, se ogni tanto ci soffermassimo a osservare la natura, e a meravigliarci della sua bellezza, forse cominceremmo a riflettere, con convinzione, sull’eventuale esistenza di un mondo sconosciuto. Che ne pensi?», disse Carletto, fermandosi all’improvviso ad ammirare il cielo.
«Penso che, per avere otto anni, tu non sia un bambino comune».
«Perché, che fanno i bambini comuni di otto anni?».
«Alle due del pomeriggio, dopo una giornata di scuola, tutti i bambini normali hanno fame e vogliono correre a casa per pranzare, come desidero ardentemente anch’io io», sospirò Andrea, cercando di trascinarsi dietro il fratellino.
«Un momento, ascolta anche tu, Andrea!», insistette Carletto, facendo cenno alla sorella di fare silenzio.
«Senti Carletto, io capisco che tu sia sensibile al panorama, ma l’unica cosa che sento è il mio stomaco che brontola», rispose Andrea, sbuffando e tirandosi per la manica della giacca il bambino, un po’ infastidito dalla poca sensibilità della sorella.
«Aspetta Andrea, non mi trascinare, lasciami la giacca!». Incurante del richiamo, Andrea si fermò.
«Beh! Ora che hai? Tiri da farmi cadere e ora ti fermi? », chiese Carletto inciampando sullo zaino della sorella.
«Sss! Sniff Sniff … non senti qualcosa nell’aria, non lo avverti quest’odore di fiori? Sniff! Sniff! Di rosa … precisamente!», disse Andrea, annusando l’aria come un segugio. La bambina fece qualche passo attorno a se stessa, ritrovandosi a sua insaputa faccia a faccia con il suo spirito celeste che, istintivamente fece un volo indietro.
«Sì! Hai ragione, è il solito profumo, sniff, sniff. Sì, sì è profumo di gelsomino», sostenne serio il bimbo, odorando maldestramente i capelli del suo Jasmine.
«Certo che in questo periodo stanno accadendo delle cose veramente inspiegabili. Ho il vago sospetto che sei tu che mi combini qualcosa di strano!», suppose Andrea, fissando dubbiosa Carletto, il quale intimorito fece qualche passo indietro.
«Comunque sia, ora non è il momento di discuterne. Andiamo, sto morendo di fame, sbrigati!».
Con passo celere Andrea proseguì il ritorno verso casa, seguita dal piccolo Carletto, un po’ disorientato da quegli avvenimenti, e da due invisibili e fedeli accompagnatori.
«Hai visto quella bambina, mi farà cadere tutte le piume dalle ali dai nervi! Noi ci diamo da fare per attirare la sua attenzione con il nostro profumo e lei pensa a mangiare», esclamò Jasmine urtato dalla superficialità di Andrea.
«Calmati, siamo qui proprio per farci riconoscere», cercò di calmarlo Roselin.
«Io sono convinto che la zuccona ci farà penare», rispose aspro Jasmine, spostandosi più velocemente dietro ai ragazzini. Carletto ebbe una sensazione mai avvertita prima e si girò a guardare indietro perplesso. I suoi occhi meravigliati cercavano qualcun altro, senza sapere bene chi, ma qualcun altro, nell’aria.
Cecile Caravaglios
To be continued