Muriel – 31 I dubbi di Henry

Muriel – 31 I dubbi di Henry

Per tutto il tragitto che lo condusse al proprio istituto, Henry, si scervellò sul come poteva infiltrarsi nel suo interno per raggiungere le zone da perlustrare, visto che, essendo domenica, la scuola era chiusa. Il roseto si trovava nell’atrio del padiglione della scuola media, addossato alla parete laterale che faceva angolo con il muro della scala interna, e il primo ostacolo da superare era l’apertura della porta a vetri. Senza neanche accorgersene, si ritrovò davanti alla cancellata della scuola, piegato in due per lo sforzo fatto nella corsa; con la mano sul fianco, dove la milza sembrava scoppiargli, prese respiro al di qua del cancello, volgendo lo sguardo in tutte le direzioni per accertarsi che non ci fosse nessuno e, vedendo che le uniche anime vive erano dei passerotti che svolazzavano tra gli alberi del parco, decise che il momento era quello buono per scavalcare l’inferriata. Accostandosi, tuttavia si accorse, che il cancello era socchiuso, diede un altro sguardo veloce attorno a sé e con una spinta e il cuore che gli batteva a mille s’intrufolò nella scuola. Salì le scalinate e in un attimo raggiunse la porta a vetri, dalla quale il roseto era visibile in tutta la sua bellezza. Che strano, era passato mille volte da quel posto ma non si era affatto accorto che quelle rose non avessero spine, anzi, non si era proprio mai soffermato ad osservare quel roseto che cresceva all’interno dell’atrio, circondato da pietre di fiume raccolte chissà dove. Sempre estremamente guardingo cercò di infilare la card della palestra nella fessura della porta antipanico, nella viva speranza di fare azionare la chiusura, ma anche qui il passaggio non richiedeva infrazione, la porta era accostata. Il cuore gli saltò in gola, mentre riposizionava meccanicamente la card nella tasca posteriore dei jeans, con lo sguardo corrucciato. Chi era già entrato all’interno dell’edificio, lasciando tutto, apparentemente chiuso? Tentennò solo un attimo: poi determinato entrò acquattandosi alla parete e ricordandosi dell’allarme di cui gli aveva parlato il signor Alfredo, il giorno che lo aveva portato in presidenza insieme a John. «E ora, che faccio?», pensò intimorito dall’ incognita che, gli si presentava dinnanzi, fu un attimo e l’illuminazione arrivò: «Lavander?!», chiamò a bassa voce. L’angelo apparve dicendo: «Non ti preoccupare, i tuoi amici hanno pensato anche a questo, sbloccando per te le porte ».

«I miei amici?».

«Certo caro: chi credevi ti avesse facilitato i passaggi, se non Laura e John?», continuò Lavander serafico.

A quelle parole Henry sospirò e si lasciò scappare un’esclamazione poco felice su i suoi amici che, invece di preavvisarlo, l’avevano lasciato in pasto a dubbi e paure.

«Grazie!», infine disse fra sé e sé.

«Scusa, che hai detto, piccolo mio?», chiese l’angioletto sorridendo.

«Niente, vieni Lavander andiamo ad osservare il roseto da vicino», propose avvicinandosi alla parete di fronte a loro, anche se continuava a girarsi intorno, per niente tranquillizzato da ciò che gli aveva riferito l‘angelo.

 Il ragazzo, appena accanto all’aiuola attorniata da ciottoli, si accovacciò sulle proprie ginocchia, per guardare le rose bianche senza spine a pochi centimetri di distanza. Scelse una rosa: accarezzò il suo gambo liscio fino a sfiorare i petali; accostò il naso al bocciolo e ne inspirò la sua delicata fragranza, era profumatissima. Tastò la terra dove fioriva la pianta e si accorse che era umida, forse i bidelli l’annaffiano giornalmente pensò il ragazzo, si alzò nuovamente in piedi e si s guardò intorno.

«Lavander, il dipinto potrebbe essere sistemato qui.», chiese Henry rimessosi in piedi e indicando la parete proprio dietro all’aiuola. «Il problema è dove vado a trovare un cavalletto per sistemare il quadro, per giunta più o meno di questa larghezza», continuò il ragazzo perplesso, allargando le braccia per dare l’idea della misura delle tele.

«Ma è semplice, negli sgabuzzini del sottoscala! Dimentichi che il quadro è già stato esposto in questa scuola in passato».

 «Hai ragione, andiamo!», e superando l’angolo della parete adiacente all’aiuola, scese senza fare rumore le scale che portavano ai magazzini del sotterraneo.

«Vai piano, Henry, fai attenzione!».

«Lavander, ma qui non ci sono luci?», gridò Henry, rallentandopiù per il buio pesto che per l’esortazione a decelerare.

«Certo, penso di sì», rispose l’angioletto cercando l’interruttore sulle pareti. «Eccola lì», disse, indicando la placchetta bianca.

«Aspetta che provo». Henry si avvicinò, pigiò sul pulsante e una lievissima luce illuminò il corridoio umido.

«Accontentiamoci, tanto ci sono io», rispose Lavander, irradiando il posto con la sua luce.

«Proviamo qui dentro», propose Henry, aprendo la prima porta che incontrarono.

«Aspetto qui».

Henry entrò, ma la luce era troppo fioca per distinguere gli oggetti all’interno dello stanzino.

 «Qui non si vede niente, scusa Lavander, visto che emani luce propria, perché non entri tu qui dentro e ti rendi doppiamente utile?», propose il ragazzo, sollecitando l’angelo con lo sguardo a far presto e a prendere da solo iniziative scontate.

«Oh sì, certo, amico mio», e la stanzetta s’illuminò.

«Ora sì che ci siamo», gioì Henry, ma dopo la prima occhiata intorno il suo entusiasmo si spense.

«Qui ci sono solo secchi, scope, vernici, pennelli, detersivi e nient’altro, mi sembra che non ci sia nulla di interessante», osservò deluso, spostando alcuni bidoncini.

«Sì hai ragione, non c’è niente, andiamo», replicò Lavander e usciti da quello stanzino entrarono in quello accanto: solo vecchi carpettoni impolverati contenenti registri, documenti scolastici e, pur intuendo che lì non potesse esserci nulla di interessante, Henry e Lavander diedero comunque una controllata in giro. Il terzo e il quarto magazzino erano pieni di vecchi banchi, nel quinto non si poteva nemmeno entrare, poiché delle lavagne bloccavano il passaggio; il sesto era stracolmo di scatoloni, perlustrarono tutto ciò che videro all’interno, ma non vi trovarono niente. Esplorarono tutto il resto delle stanze, senza nessun risultato e sconfortati si stavano accingendo a risalire le scale, quando Henry fu attratto da un inusuale segno sulla parete, accanto ad una delle porte, un piccolo cerchio con dentro un fiore rosa.

«E questo cos’è?», esclamò rivolgendosi a Lavander.

«A prima vista, sembrerebbe un normalissimo cerchio rosa, ma tuttavia, chi ha una certa esperienza nel settore, riconosce subito che è un simbolo utilizzato dal nemico quando sta operando in un territorio», spiegò Lavander, fissando il piccolo cerchio.

 «Che … che vuoi dire?».

«Che il nemico ha delle manovre in corso in questa stanza e, visto che queste sue attività riguardano il cuore tramutato in un’orchidea rosa, il simbolo è uguale», chiarì Lavander imperturbabile.

«Bene allora scappiamo, non ho nessuna intenzione di trovarmi faccia a faccia con il diavolo», replicò prontamente Henry, indietreggiando.

«Aspetta Henry, ci siamo noi», gli sussurrò una vocina all’orecchio.

 «Chi è che parla?».

«Sono io Laura, e c’è anche John», rispose la ragazzina comparendo dal nulla.

«Sì, sono qua!», disse una voce dall’interno di una delle stanze.

«Ma voi eravate in questo sotterraneo anche poco fa?», chiese un po’ spiazzato Henry.

«Sì e no, siamo arrivati in istituto da un po’ e siamo scesi nello scantinato per cercare la tela, ma come voi non abbiamo trovato niente, quindi siamo saliti in presidenza, dove le tele da due sono diventate tre; perciò siamo tornati qui giù a setacciare le stanze. Poi abbiamo sentito le vostre voci e vi abbiamo raggiunto», raccontò Laura tutta presa.

«Ma sei matta? E se vi fosse ancora il nemico?», esclamò Henry, guardando terrorizzato la lavagna che ostruiva il passaggio all’interno di quella piccola stanza.

«Non ti preoccupare, lo sentirei e comunque non possiamo scappare, dobbiamo agire: ti ricordi le parole dell’arcangelo?», rispose risoluta Laura.

Henry guardò a malincuore Lavander trapassare le lavagne ed entrare nello sgabuzzino, seguito dai suoi amici e dai loro custodi. Quando anche John scomparve attraverso la lavagna, lui rimase a fissare sconsolato il cupo nero dell’ardesia, ma fu nell’attimo in cui Laura urlò, che si sentì impotente e soprattutto un estraneo.

«Laura, che è successo», gridò da fuori la stanza, cercando di spostare le lavagne che sembravano ancorate al terreno.

«È inutile che tenti di spostarle, il nemico le ha bloccate!», disse una voce melodiosa all’orecchio del ragazzo.

Henry si voltò e riconobbe Raffaele.

«Oh, Arcangelo Raffaele, meno male che ci sei tu! Laura è là dentro con John, ha gridato, ma non so che è successo e io non posso passare».

«Sicuramente hanno trovato qualcosa. Loro sono spirito e possono trapassare la materia, a te non è stato fatto questo dono», disse amabilmente l’arcangelo.

«Già e per questo sono fuori, ma così come posso aiutarli, perché mi hanno fatto venire qui? Raffaele, so che non dovrei pensarlo, ma oggi ho avuto la netta sensazione che si stessero prendendo gioco di me», continuò Henry, sprofondando le mani nelle tasche dei jeans.

«Infatti, non devi pensarlo, sono i tuoi amici e, anche se ti hanno fatto notare i tuoi limiti in questa situazione, non devi avercela con loro», rispose l’arcangelo girando attorno al ragazzo. Henry voltò lo sguardo verso la porta sbarrata dalle lavagne e colse senza volerlo i discorsi degli amici:

«Guardate! C’è un’altra tela! Che strano, ho delle sensazioni negative, … forse è quella falsa!».

Henry ascoltò rattristandosi ancora di più e, girando su se stesso, tornò indietro per il corridoio, seguito dall’arcangelo: «Henry! Cerca di fare qualcosa di significativo per questa missione, così i tuoi amici si renderanno conto di come si sono sbagliati, nell’ avere una così scarsa considerazione di te!».

«Perché? Cosa pensano di me? Ti ricordo che uno di loro è mio fratello!».

«Certo, e allora perché non ti ha detto che il quadro in presidenza è già ricomposto?».

«Cosa? Non ci credo!».

«Se non ci credi, perché non vai a vedere tu stesso? Secondo te cosa stanno cercando nei magazzini … e se avessero scoperto il nostro segreto nascosto nel quadro?», lo incitò Raffaele.

Henry prima guardò l’arcangelo estremamente sorpreso, poi con uno scatto fulmineo salì le scale, attraversò l’ampio atrio e il corridoio che conduceva in presidenza. Davanti alla porta semiaperta, esitò un istante, con un tocco la spinse ed entrò.

«Buon giorno Henry, anche tu qui oggi pomeriggio, non ti aspettavo, pensavo che i tuoi amici non ti avessero detto niente, visto che dandomi l’appuntamento per oggi, qui a quest’ora, mi hanno fatto capire che tu non sapevi niente».

«Di che cosa sta parlando? Scusi, ma lei che ci fa di domenica in presidenza?».

«Questa è la stessa domanda che potrei fare a te», disse il preside.

«Ha ragione … io sono stato preso in giro e lei?», rispose Henry sconsolato.

«Forse anch’io. Secondo me, i tuoi amici hanno scoperto il segreto nascosto nel quadro e ora sono andati a cercare qualcosa nei magazzini».

Henry guardava turbato, non poteva essere stato suo fratello a tradirlo, eppure era palese che fosse così.

«Mi scusi signor preside, mi può mostrare il quadro, per favore?».

«Certo ragazzo mio, eccolo qui. È stato ricomposto ieri sera, quando la signora Germana mi ha portato l’ultima tela», disse il preside togliendo un telone dal quadro.

« E’ bellissimo!», esclamò Henry, ammirando il dipinto nella sua completezza. La prima tela la conosceva, la seconda ritraeva la cacciata dell’uomo dal giardino dell’Eden, la terza il mondo nelle mani del male e la quarta la battaglia finale. Sì, era completo e si accorse anche che era poggiato su un cavalletto. E se l’avesse trasportato lui stesso nell’atrio, avrebbe potuto stupire il fratello e Laura, li avrebbe lasciati a bocca aperta. Era un’ottima idea, però prima doveva cercare di trovare il segreto nascosto dagli arcangeli nel quadro.

«Posso guardare più da vicino?», chiese il ragazzo indicando il quadro.

«Certo Henry, prego avvicinati», rispose il preside spostandosi e andandosi a sedere sulla sua poltrona. Henry si avvicinò e sfiorò la cornice con le dita, osservò le tele e fece il giro attorno al dipinto per esaminarne il retro, ma non notò niente di particolare. Certo, che non è proprio adatto come nascondiglio per qualcosa.

«Preside, mi perdoni se mi permetto: che ne dice di andare ad esporre il quadro, lo trasportiamo giù davanti al roseto così …».

«Davanti al roseto? Non se ne parla nemmeno, il quadro verrà esposto qui nel corridoio, vicino alla presidenza. In ogni caso il problema non è questo, la vera incognita rimane cosa nasconda il quadro», disse il preside parlando poi per i fatti suoi. Henry distinse comunque le sue parole e, si stranì di quell’ oscuro discorso, preoccupandosi ulteriormente. In quel momento si sentì davvero solo, non sapeva cosa fare e come muoversi; si riavvicinò al quadro, analizzò di nuovo le tele più minuziosamente e si accorse che nel primo dipinto c’era qualcosa di sospetto. Lucifero, raffigurato nell’episodio della sua cacciata, aveva tra le mani un qualcosa di rosso fiammante. Accostò il volto sul dettaglio e riconobbe un cuore. «Un cuore? Ma era impossibile! Lucifero il suo cuore l’aveva abbandonato all’arcangelo Michele!». Rimase attonito e cominciò a chiedersi se non fosse tutta una burla, se gli arcangeli in realtà non gli avessero riempito la testa di fesserie. E se Lucifero e le sue legioni non esistessero? Si girò a guardare il preside, che gli ricambiò lo sguardo.

«Che c’è ragazzo mio?».

«Avrebbe una lente d’ingrandimento da prestarmi?».

«Certo, sulla mia scrivania, eccola là», gli rispose il preside indicandogliela.

«Grazie». Presa la lente la posizionò sopra l’immagine, sciogliendo finalmente ogni suo dubbio: quello che stringeva in mano Lucifero era un cuore. Sempre più rammaricato, passò ad analizzare la seconda tela, lì tutto sembrava normale, la cacciata di Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden … e se anche questa fosse una grande bufala, come dicevano molti dei suoi compagni? Fu la volta del terzo dipinto, la grande battaglia finale, anche questa appariva regolare. Ma! Intanto il preside si avvicinava a Henry, pronto ad esaminare la quarta tela da vero professionista.

«Allora Henry, che mi sai dire del quadro, hai scoperto qualcosa?».

«No signore, nulla di particolare», rispose Henry continuando a scandagliare il quadro.

« Certo che la quarta parte è un po’ ambigua».

«Perché dice questo?».

«Perché mi sembra che la scena riproduca la vittoria del male e non del bene, anche se la scena è molto confusa».

«Non vedo quale sia il problema, anche se vincesse il male, è solo un quadro. Nessuno ci ha detto il contrario. Giusto?», rispose il preside, scrutando anche lui da vicino l’ultima tela.

Ma Henry aveva lo sguardo sconvolto, puntato sul suo interlocutore. Che voleva dire il preside? Non era lui che aveva percepito le voci degli angeli ed era andato in biblioteca per cercare di acquisire informazioni? Forse, chiedendo in giro, aveva scoperto che il suo era stato un allarmismo inutile e che non aveva sentito nessuna voce. Allora, tutto ciò che gli avevano raccontato gli angeli era falso? E se gli angeli invece erano il male? Henry cominciò a sudare freddo.

«Mi scusi preside, ma devo uscire a prendere una boccata d’aria».

«Ma mi lasci così, non mi aiuti a sistemare il quadro fuori dalla presidenza? Ma, ma tu stai male! Che ti senti? Vieni, siediti», disse il preside preoccupato. Henry era pallidissimo e sudava come se nella stanza ci fossero stati cinquanta gradi.

«Non è niente, ho solo bisogno di un po’ di ossigeno, tra un po’ torno, mi scusi». Uscì dalla stanza, corse lungo tutto il corridoio fino all’atrio e lì si precipitò ad aprire la porta antipanico per respirare fuori, all’aria aperta. Appoggiò la schiena al muro, accanto alla vetrata e si lasciò scivolare, giù fino a terra. Ma che stava succedendo, era mai possibile che tutto ciò in cui aveva creduto fino a quel momento si stesse invertendo? E dove erano i suoi amici? Che avevano combinato Carletto e Andrea? E Lavander, dov’era Lavander? Questi pensieri gli frullavano per la testa, quando, avvertito un rumore nelle vicinanze, tese le orecchie per ascoltare meglio e riconobbe dei passi strascicati sull’erba circostante. Era una camminata familiare che avrebbe riconosciuto tra mille. No, non voleva che lo vedesse lì e, con uno scatto, saltò la ringhiera della scalinata e si abbassò quel tanto per non essere visto, ma che gli consentiva di sbirciare. La signora Germana salì le gradinate e trovando la porta accostata, si girò attorno soffermandosi per un attimo a guardare il posto dove era nascosto Henry. Per fortuna, dopo un secondo, entrò livida in viso, tirandosi dietro la porta, ignara della presenza del ragazzo. E ora che doveva fare? Dove stava andando la signora Germana, forse in presidenza? Sì, sicuramente aveva appuntamento con il preside, occorreva seguirla. Uscì dal nascondiglio, salì le gradinate e cercò di aprire la porta che la signora aveva chiuso per bene. Riprese rapido la card “salvatutto” dalla tasca dei jeans, e questa volta servì: passata nell’insenatura della porta, fece scattare la serratura.

«E bravo il mio eroe», disse una vocina al suo orecchio.

«Esci fuori, Lavander!». Ora visibile accanto a lui, l’angioletto non aveva la solita aria soave, ma con le braccia conserte e le sopracciglia aggrottate, lo fissava con un’espressione di rimprovero.

«Che hai Lavander, non hai mai visto aprire una porta?».

«Raramente in questa maniera, dai ragazzi perbene, anche se questi bravi ragazzi, ultimamente, hanno qualcosa che non va!».

«Senti, proprio tu non mi puoi venire a dire che cosa è buono e che cosa è male», rispose stizzito, mentre entrava nell’atrio, ma Lavander lo bloccò dicendo: «Che vuoi dire?».

«Solo che forse non credo più in voi! Solo questo», gli rispose fissandolo con aria di sfida e indietreggiando, poiché l’angelo al contrario avanzava.

«In voi chi?».

«In voi angeli, che ci avete raccontato un sacco di bugie, solo per avvicinarvi a noi. Sai cosa penso, che ci avete ingannato, anzi ancor di più penso che voi giochiate con noi e poi vorreste da noi la nostra fiducia, inventando la bufala del nemico. E se il male foste voi e metteste in ballo tutto per non farvi smascherare? Ci sono troppi punti oscuri che non capisco e ora fammi passare che ho qualcosa da andare a risolvere!», disse tutto di un fiato Henry.

Lavander rimase pietrificato, senza parole.

Perché Henry era così arrabbiato? Che cosa gli avevano raccontato? L’unica cosa plausibile era che il nemico avesse agito anche su di lui e gli avesse iniettato il veleno del dubbio insensato. E ora che stava combinando, dove stava andando a risolvere la questione di cui parlava?

«Devo immediatamente raggiungerlo, prima che si infili in guai più grossi di lui. Raffaele mi spenna se viene a sapere una cosa del genere!». Così dicendo scomparve per riapparire accanto ad Henry, che si trovava di nuovo in presidenza in compagnia del preside e della signora Germana.  Questa, buia più che mai, guardava di sbieco il ragazzo, che per conto suo, invece, scrutava turbato il quadro.

«Non sapevo che avessero riunito il quadro», pensò Lavander e incuriosito si avvicinò a dare un’occhiata al dipinto. Tuttavia, una volta a tu per tu con la tela, si accorse della mano nemica e cacciò un urlo che fece sobbalzare Henry, ma che percepirono anche gli altri due presenti nella stanza, sotto forma di vibrazione nell’aria.

«Chi va là», disse bianco in volto il preside.

Lavander si mise la mano sulla bocca, ma il danno era fatto, l’avevano avvertito tutti.

«Henry devi allontanarti, vai via di qui! Il nemico gestisce la signora Germana, ha ingannato il preside e ora ci sta provando anche con te, scappa, ti stanno raggirando», gli sussurrò Lavander all’orecchio.

«Ma che stai dicendo?», disse Henry girandosi a osservare la signora Germana e il preside che si guardavano intorno, alla ricerca di quel qualcuno che potesse essere nella stanza.

«Henry, per favore ascoltami, questo quadro è quello falso, non vedi che nell’ultima tela vince il male e nella prima il diavolo ha ancora il cuore tra le mani, ti ricordi il racconto degli arcangeli?», disse accorato.

«Io so solo che i miei amici mi considerano un perdente, che non mi credono all’altezza di questa impresa, che gli arcangeli mi hanno riempito la testa di fesserie e che mi hanno escluso dalla loro escursione nel sotterraneo, anzi a pensarci bene anche tu mi hai escluso, solo perché io non sono e non posso trasformarmi in spirito, mi avete messo da parte», diceva Henry sottovoce, mentre continuava ad osservare il quadro, per evitare che i presenti si insospettissero di qualcosa.

«Ma chi ti ha detto queste cose, non è per niente vero, i tuoi amici e io ti abbiamo cercato subito!».

«Ah sì! E dove sono allora John mio fratello e la mia amica Laura, sono qui con me?», rispose lanciando delle fugaci occhiate verso il preside e la signora che parlottavano tra loro, guardandolo in modo sospetto.

«Forse perché in cantina c’è stata una straordinaria scoperta? Forse perché tu mi hai ignorato fino a quando io non sono apparso? Che ne pensi tu?», replicò Lavander.

«Penso quello che pensa Raffaele, voi mi avete considerato una nullità incapace di portare avanti questa missione e mi avete lasciato da parte perché non sono spirito!», brontolò Henry, questa volta in un sussurro, poiché il preside si avvicinava alle tele.

Lavander, dapprima rimase muto e spiazzato, poi ridendo di gusto rispose al suo protetto: «Che cosa hai detto? Raffaele ti ha suggerito questo?! Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo? Tu non hai visto Raffaele, ma solo il nemico in versione angelica, questa è bellissima, ma come hai potuto credere a queste parole!». Lavander si soffermò, ripesando a come, in effetti, Henry insieme ad Andrea, all’inizio fossero stati i più diffidenti nel credere alla loro esistenza, poi sorridendo continuò: «Arrivato a questo punto, penso che Andrea si sia impantanata con qualche altra apparizione nefasta».

«Che vuoi dire, che chi ho visto io non era Raffaele?».

«Certo, l’arcangelo Raffaele non avrebbe mai sparso una zizzania simile, in ogni caso ora andiamo, raggiungiamo i ragazzi, ti prego Henry, vieni via con me».

«Ma non hai sentito parlare? Io ho di nuovo avuto questa sensazione!», chiese intanto il preside al ragazzo, che come svegliatosi da un sogno confusionario, lo fissava sbalordito.

«Preside, lei non deve parlare con questo moccioso di certi argomenti, si ricordi che procurano solo guai questi studenti», s’intromise scorbutica la bidella.

Henry si rese finalmente conto che erano come stregati: rivolse un ultimo sguardo alle tele e decise di uscire da quella stanza.

 «Andiamo a raggiungere i ragazzi negli scantinati, a quanto pare sono in arrivo anche Carletto e Andrea. Speriamo bene!», gli fece strada Lavander, immergendosi nel vuoto, ma senza mai perdere di vista il suo protetto.

Cecile Caravaglios

To be continued

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