Muriel – Terza parte Dov’era Muriel – 18 L’istituto SS. Arcangeli
Il giorno dopo Laura andò a scuola, accompagnata dal papà, come richiesto dalla professoressa di educazione fisica.
«Buongiorno professoressa, questo è mio padre».
«Buongiorno», fece prontamente eco il signor Loreto, piacevolmente sorpreso dalla bellezza e dall’eleganza dell’insegante che gli sorrideva discreta.
«Buongiorno, piacere di conoscerla», ricambiò affabilmente la stretta di mano la prof, a sua volta incuriosita da quella figura interessante. Poi, avvicinandosi a Laura con il braccio proteso sulle sue spalle, esternò sentitamente la sua riconoscenza: «Posso finalmente congratularmi con lei: sua figlia mi ha salvato la vita, non lo dimenticherò mai!».
«Sì, è vero, lo so. Laura mi ha raccontato tutto ed anche a me il suo slancio è sembrato straordinario. C’è solo da essere fieri!», rispose volgendo lo sguardo verso la piccola. «Laura è l’unica mia gioia: non so se lei lo sa, ma sono tre anni che abitiamo da soli, mia moglie non c’è più. Quindi ogni passo di Laura per me è molto importante».
« Mi dispiace, non sapevo che Laura non avesse più la mamma ancora non conosco le vicende di tutti i miei alunni, comunque mi congratulo con lei per la straordinaria ragazza che sta crescendo. Oh! Suona la campanella, mi dispiace ma devo scappare, stanno iniziando le lezioni. Laura vieni con me?».
«Certo! Ciao papà».
«Ciao amore e buongiorno, spero di rivederla presto!» aggiunse rivolgendosi alla professoressa.
Il signor Loreto si congedò inclinando la guancia, per ricevere il bacio della figlia. Si voltò quindi soddisfatto, attraversando lentamente il corridoio che separava la sala professori dall’atrio della scuola, mentre si guardava intorno. Le pareti erano tappezzate da diverse fotografie di varie classi, scattate negli anni precedenti. Si fermò ad osservarle con attenzione, individuando quella dei propri compagni. Quanto tempo era passato: ecco Carlo, l’autista, chissà come stava. Quell’istituto era molto grande, includeva asilo, elementari, medie e liceo, distribuiti in tre reparti diversi; il liceo a sua volta si sdoppiava in un edificio secondario per le classi del triennio, in modo da separare i giovanissimi dai più grandi. Il signor Loreto continuava a guardare altre foto, per vedere chi poteva riconoscere. Ci mise poco a scorgere Laura. Quella foto non era però come le altre, presentava sfere luminose sparse qua e là. Che strano, forse effetto del flash, anche se, pensò il signor Loreto, le macchine digitali non producono questi effetti. Rimase qualche secondo ancora davanti a quello scatto, compiacendosi della bella bambina che era sua figlia, poi si rimise a camminare, dirigendosi verso l’uscita. Stava scendendo le scale dell’androne della scuola, quando vide arrivare di corsa John ed Henry che, con il fiato in gola, si fermarono e gli chiesero ansimanti: «Buongiorno signor Loreto, Laura è già dentro?».
«Buongiorno ragazzi, sì è entrata con la professoressa di educazione fisica. Ma dove andate così di corsa?».
«In nessun posto, ci scusi, è tardi, poi le daremo una spiegazione!», e continuando a correre si diressero verso la palestra, lasciando il signor Loreto interdetto.
«Mah! Io questi ragazzi, proprio non li capisco. Non è solo Laura che si comporta in modo strano, evidentemente è l’adolescenza», distogliendo, quindi, lo sguardo dalle due figure, si allontanò sovrappensiero.
I due ragazzi raggiunsero la palestra, fermandosi un po’ più indietro della porta, per non farsi vedere, poiché la lezione stava per iniziare.
«Dobbiamo attirare l’attenzione di Laura. Come facciamo?», disse John.
«Ora ci provo io», rispose Henry divaricando le braccia verso l’alto con l’intenzione di attirare l’attenzione dell’amica. «Così non concludiamo niente, da qui non ci potrà mai vedere. Ci vuole un’altra idea», commentò John controllando l’orologio. «Tra meno di cinque minuti, dobbiamo metterci in comunicazione con i nostri angeli, ma continuando così non so se ci riusciremo. Forse è meglio interpellarli per un piccolo aiutino. Camomile!», chiamò subito John.
«Dimmi piccolo mio, sono qui», e all’altezza del suo viso apparve una testolina.
«Certo che visto così, sembri il figlio di Luigi XIV, naturalmente dopo la decapitazione», rise Henry.
«Smettila Henry, scusalo Camomile. Senti, dovresti avvisare Laura che deve trovare una scusa per raggiungerci subito, è importante! Siamo nel bagno dei ragazzi».
«Già fatto, sta cercando di svincolarsi», rispose soavemente l’angioletto, che regalando un sorriso ai fratelli scomparve.
I ragazzi corsero su per le scale, andarono in bagno dove trovarono Andrea con un cappello tirato fino alle spalle per non farsi riconoscere, dato che lei, frequentando la scuola elementare, non poteva entrare nella scuola di grado superiore e ancor meno nel bagno dei ragazzi.
«Dove si trova Carletto, in questo momento?», chiese Henry girandosi intorno.
«Sono qui, scusate, ma il bidello mi ha scoperto e ho dovuto aspettare che si distraesse per infilarmi nel corridoio delle medie», spiegò il bambino sedendosi sulla panca, accanto ad Andrea.
«Bene, manca solo Laura. Speriamo che riesca a venire, il più presto possibile», disse John, tra se e sé.
«Eccola qui», esclamò Carletto con la sua voce squillante.
«Ma che cosa è successo!! La lezione era appena iniziata e ho dovuto inventarmi che stavo male».
«Scusaci Laura, ma stamattina Lavander ha fatto di tutto per farsi invocare, avvertendomi di informare voi di un compito importante che dobbiamo portare a termine al più presto», disse Henry guardando gli amici.
«E quale sarebbe questo compito?», chiese Andrea con il suo solito tono ironico.
«Non lo so, non me l’ha detto».
In un lampo, dal nulla, i cinque angioletti apparvero improvvisamente sorprendendo, come sempre, i presenti.
«Salve a tutti ragazzi miei per una volta, sono io a riunirvi», salutò aggraziato Lavander.
«Ci spieghi che sta succedendo?», chiese Carletto, divertito della situazione.
«Bene, il compito è arduo, ma voi siete molto svegli e ve la caverete benissimo. Come si chiama il vostro istituto?», chiese Lavander.
«Istituto comprensivo “SS. Arcangeli”», rispose Violet d’istinto.
«No, non tu, devono rispondere i ragazzi», lo rimproverò aspro Lavander.
«Uhm! SS. Arcangeli!», ripeté John, provocando il risolino di tutti.
«Bravo!», continuò Lavander, rivolgendo uno sguardo torvo a Violet. «E i vari padiglioni a chi sono intestati?», chiese nuovamente fissando Violet e, nello stesso tempo, mandando occhiatacce agli altri angeli.
«Quello delle scuole elementari si chiama San Gabriele, quello delle scuole medie San Raffaele e quello delle prime classi del liceo San Michele», elencò, soddisfatto di se stesso, Carletto.
«Bene, ogni padiglione è intestato ad un arcangelo diverso, anche quello delle ultime classi del liceo. Sapete chi è l’arcangelo che protegge quel padiglione?».
I ragazzi si guardarono tra di loro senza dare una risposta, solo Andrea aprì bocca: «Scusate l’ignoranza, ma al catechismo mi hanno insegnato che gli arcangeli sono tre».
«Anche se al catechismo vi insegnano tante cose, voi ne sapete sempre la metà, comunque sì, esistono altri arcangeli, anzi in tutto sono sette», precisò Violet paziente.
«E chi sono?», chiese Laura.
«Sealtiel, Barachiel, Jehudiel, Uriel», elencò Camomile.
«Il nome dell’ultimo padiglione è quello di Uriel».
«Uriel? Ma chi è?», chiesero in coro i ragazzi stupiti.
«Uriel è l’arcangelo detto anche fuoco dell’Altissimo, egli combatte lo spirito dell’ira e dell’odio», rispose paziente Roselin.
«Non ne avevo mai sentito parlare», commentò Henry.
«Io invece sì, l’ho letto nel libro che accennava agli arcangeli», esclamò John.
«Bravo il mio ragazzo», gioì Camomile.
«Sì, ma che vuoi dirci per ora con questo?», sospirò Andrea.
«Bene, secondo voi perché questa scuola ha il nome di quattro Arcangeli?», chiese Violet a bruciapelo.
«E che ne sappiamo noi?», rispose seccato da tanto mistero Henry.
«Forse per proteggere i ragazzini che la frequentano?», sottolineò Laura lì per lì.
«Potrebbe essere, ma c’è qualcosa di più concreto di tutto questo. Nei disegni di Dio c’è la formazione stessa di questi ragazzini e la creazione di un comitato anti-male», rivelò Camomile.
«Non ci posso credere, è proprio fico», aggiunse Carletto.
«Comunque stringiamo.In uno di questi padiglioni vi è il segno inconfutabile della vittoria del bene sul male, avete il compito di trovarlo e lì Laura dovrà nascondere il fiore. Questa è la vostra missione nei prossimi giorni. Ora su, presto, tornate nelle vostre aule, sbrigatevi», concluse Lavander.
I ragazzi, un po’ smarriti, si guardarono tra di loro e rientrarono nelle loro classi senza parlare, rimuginando tutto il tempo su come dovessero muoversi.
La ricreazione dette loro una nuova occasione per potersi riunire.
«Allora, quale potrebbe essere questo nascondiglio?», chiese Andrea a Carletto.
«Io penso che dovremmo trovare una mappa della scuola e vedere un po’ com’è suddivisa. Forse potrebbe esserci qualche posto particolare da andare a visitare. Inoltre credo che, per la nostra ricerca, avremmo bisogno dell’aiuto dei bidelli e soprattutto di qualche informazione dai professori che conoscono meglio l’istituto», disse Carletto scartando la sua merenda.
«Sei mitico fratellino mio», disse Andrea abbracciandoselo. La notizia aveva un po’ elettrizzato tutti i ragazzi e anche nel padiglione delle medie, Henry e Laura stavano discutendo sul da farsi. L’unico a ritrovarsi da solo nel padiglione delle prime superiori era John che cercava, in tutti modi, un indizio per iniziare le indagini. Il padiglione delle prime superiori era più vasto dei due inferiori. I corridoi erano più lunghi, anche se più bui. Lungo le pareti si allineavano mensole su cui stavano poggiati trofei impolverati, vinti dalla scuola nelle varie gare sportive e didattiche. Alle mensole si alternavano file di attestati in cornici di legno. Al termine di ogni corridoio vi era un piccolo atrio con una scrivania e un bidello assegnato per quell’ala; in quegli stessi spazi vi erano due rampe di scale, una per salire al piano superiore, l’altra per scendere negli scantinati. La classe di John, il secondo anno del liceo classico, era al piano terra. Finiti l’intervallo e il tempo per riflettere il ragazzo ripercorse il corridoio in senso inverso, in questo percorso notò che la porta della segreteria era aperta e lì intravide il preside che discuteva con gli impiegati.«Evidentemente è in trasferta», pensò John, visto che la presidenza era nel padiglione di San Raffaele. Superò, e anche a passo svelto, l’ultima porta, quella della sala professori, da cui stavano uscendo tutti gli insegnanti diretti nelle proprie classi. Meglio non farsi vedere e tornare in classe come se fosse stata una ricreazione come le altre.
Quello stesso pomeriggio Carletto e Andrea, con la scusa del rientro a scuola, cercarono di attingere più informazioni possibili dai bidelli sulla struttura interna della scuola e su eventuali zone in disuso. Fecero il giro del loro padiglione, in lungo e in largo e al suono della campana rientrarono a casa sfiniti. Dopo una veloce merenda i ragazzini salirono in camera loro per riposarsi un po’. Ma il loro relax durò molto poco, poiché venne a trovarli inaspettatamente un loro zio con il figlio, quindi la loro mamma li fece scendere per fare gli onori di casa.
«Ciao zio Ambrogio. Come stai?», fece il suo ingresso Andrea, palesemente seccata.
«Oh! La mia principessina!», rispose lo zio ad Andrea; poi voltandosi verso Carletto aggiunse, «E tu piccolo giovanotto, sei Carletto, giusto?».
«Sì, caro zio, sono il monellaccio, come dicevi sempre tu», rispose il bambino, regalando un bacio sulla guancia allo zio.
«Questo è Enrico, vostro cugino, ve lo ricordate?», aggiunse dolcemente la mamma.
«Certo mamma, ciao Enrico», disse Andrea.
«Ciao Andrea, ciao Carletto».
«Perché non mostrate ad Enrico i vostri giochi, anche se ormai lui penso abbia superato questa fase. Quanti anni hai?», chiese la mamma.
«16 appena compiuti», rispose Enrico.
I ragazzini presero Enrico per mano e se lo trascinarono dietro, lasciando la mamma e lo zio che li osservavano sorridenti.
«Entra Enrico, questa è la mia stanza, ci sistemiamo qui, poiché è una stanza di maschi», esordì Carletto. Enrico entrò nella camera di Carletto e si accomodò ai piedi del letto guardandosi intorno. «Bella la tua camera, vedo che sei appassionato di astronomia», disse Enrico accennando al planetario.
«Oh! Sì, per dire la verità, in questi dintorni siamo tutti appassionati di stelle», rispose Carletto sorridendo.
«Davvero? Anche tu Andrea?», chiese Enrico girandosi a guardare la bambina rimasta appoggiata allo stipite della porta.
«Sì, sì certo», rispose distratta.
«Guarda, questo è l’ultimo gioco che mi hanno regalato, lo conosci?», domandò Carletto, mostrando ad Enrico un contenitore di plastica contenente un cd.
«Sì, certo, dai facciamo una partita», propose Enrico, mentre Carletto armeggiava attorno alla playstation.
Andrea continuava a osservare il cugino con un certo interesse, finché, avvicinandosi, gli chiese: «Enrico, ma tu che scuola frequenti?».
«Il terzo anno del classico».
«Allora frequenti il nostro istituto?».
«Sì, è l’edificio dislocato dietro il giardino della vostra scuola, quello proprio dietro la fila di salici», rispose Enrico, che si accingeva a concentrarsi per la partita di golf virtuale.
«Sono sempre stata curiosa di sapere come sono fatte le altre sezioni della scuola; sai che gli studenti appartenenti ad un grado di scuola non possono visitare gli altri edifici, se non accompagnati dagli adulti?», continuò Andrea, sistemandosi comodamente accanto al cugino.
«Sì, certo che lo so, sai quante volte io e i miei compagni siamo stati richiamati per essere andati a trovare i nostri amici nelle prime classi del liceo? Anche John, che è vostro vicino di casa e mio amico. Per dire la verità, proprio stamattina, è stato beccato dal bidello all’interno del nostro edificio ed anche lui è riuscito a cavarsela per un pelo», raccontò Enrico, sempre concentrato sul gioco.
A questa affermazione, Andrea guardò Carletto preoccupata. Il bambino ricambiò lo sguardo alla sorellina, cercando di capire dove volesse arrivare con l’interrogatorio che lei stava riservando al cugino; non riuscendoci, si buttò sul gioco.
«Ma il tuo padiglione è grande quanto il nostro?», continuò Andrea.
«Penso siano tutti e quattro uguali, cambia solo la sistemazione delle stanze, si struttura in rapporto alla collocazione delle aule e i corridoi possono essere più o meno lunghi».
Andrea si alzò dal letto e si spostò vicino la finestra ad osservare il giardino. Pensava a che cosa potesse essere andato a fare John nella scuola dei più grandi, anche se una mezza idea l’aveva.
«Scusa se ti faccio tutte queste domande Enrico, ma tu sai se c’è una pianta di tutto l’istituto al completo?», esclamò all’improvviso Andrea facendo sobbalzare Carletto, che si girò a guardare la sorella con un grosso interrogativo stampato sul volto.
«Certo che c’è, nel POF», rispose, per nulla insospettito, Enrico.
«Nel POF! E che cosa è il POF?», chiese Carletto posando il comando del gioco.
«Il piano dell’offerta formativa della scuola, contiene tutte le informazioni relative alla scuola», spiegò Enrico.
«E dove si trova?», chiese Andrea con tutta la sua dolcezza.
«In ogni albo o bacheca dei nostri padiglioni, quindi sarà appeso anche da voi. Ma perché ti serve una pianta di tutta la scuola?», chiese incuriosito Enrico.
«Perché la maestra ci ha chiesto di fare una ricerca sulle antiche tradizioni della nostra scuola e quindi cerco di raccogliere più notizie possibili», disse tutto in un colpo Andrea, lasciando Carletto stupito per la sua prontezza.
«In effetti la nostra scuola è ricca di vicende e luoghi speciali», osservò il cugino.
«Davvero?», dissero i bambini in coro.
«Siamo curiosi, vorremmo sapere di più, ci puoi raccontare qualcosa?», chiese Andrea, facendosi sempre più stretta al cugino.
«Beh! Vediamo, vediamo, sapete l’origine dell’intestazione della nostra scuola?», domandò Enrico con aria da sapientone.
«No», risposero i ragazzi.
«A quanto pare, nell’anno in cui fu progettata la scuola, nella fase di rilevazione dati, furono scattate diverse foto. In una di queste, rimase impressa l’immagine di un essere soave e bellissimo. Nessuno seppe spiegare chi fosse, poiché il cantiere ancora non era aperto e quindi non vi era anima viva: ma aveva tutta l’aria di essere un’entità sovrannaturale. Un po’ di tempo dopo furono scattate altre foto e anche qui si rilevò l’immagine di una figura molto bella. A questo punto, il capo cantiere prese queste foto e le portò in una chiesa vicina per mostrarle ad un prete, che si diceva fosse un esorcista. Il prete, quando vide le foto, sbalordito disse che quelle erano immagini di angeli, anzi arcangeli, poiché uno aveva un giglio in mano e l’altro una spada. L’indomani il prete venne a fare un sopralluogo e si fece scattare altre foto».
«Sì e poi … », chiesero i bambini per far riprendere subito ad Enrico il racconto.
«Bene, quando svilupparono le foto, ci fu un gran parlare, poiché comparve una nuova figura, diversa dalle prime. Il prete si ritrovò fotografato insieme a queste entità ed una di queste portava un’ampolla in mano».
«Oh! Ma è strepitoso», esultò Andrea.
«E non è finita. Quando i quattro padiglioni furono terminati e furono scattate altre fotografie, venne rivelata un’altra figura che stava accanto al mio padiglione e che il famoso prete ha identificato come l’arcangelo Uriel, poiché portava in mano una fiaccola di fuoco. In seguito a questi eventi si pensò d’intitolare l’istituto “SS. Arcangeli” e destinare il nome di un arcangelo ad ogni padiglione», concluse Enrico.
«Che storia interessante», esclamò Carletto.
«Molto interessante! Ma dimmi Enrico, avevi detto che conoscevi altre storie», chiese Andrea.
«Beh! Dopo un po’ di tempo, lo stesso prete, esaminando le varie fotografie, si accorse che sullo sfondo di ognuna vi erano degli oggetti particolari, segni rimasti un mistero».
Il racconto di Enrico fu interrotto dal richiamo della mamma di Andrea e Carletto, che comunicava l’intenzione dello zio di andarsene; Andrea, immediatamente, si affacciò dalle scale e disse alla mamma che il cugino sarebbe sceso subito e rientrò di corsa per sentire la fine del racconto. «Ma queste foto ora chi ce l’ha?», chiese Carletto pressante.
«Io non so, forse don Lorenzo, poiché ha preso il posto del vecchio Monsignor Ruggeri!», rispose Enrico, posando il joystick.
«Don Lorenzo? Ma è il nostro parroco!», esclamò Andrea, voltandosi a guardare Carletto.
«E già, il nostro parroco e soprattutto grande amico del papà di Laura», sottolineò Carletto, battendo cinque con la sorella. Enrico li guardava un po’ confuso, ma continuava a sorridere come se fosse partecipe della situazione.
«Senti Enrico, ci piacerebbe che tu venissi a trovarci più spesso per raccontarci altre storie ».
«Verrò a trovarvi presto nella vostra scuola».
«Ma non puoi entrare», risposero i due bambini.
«Ci vedremo fuori nell’atrio, se è possibile anche dentro», e sorridendo schiacciò l’occhio ai ragazzini.
I bambini accompagnarono Enrico al piano di sotto, salutarono lo zio e si sedettero sul divano del soggiorno davanti la TV.
«Senti Carletto, ma perché non andiamo a parlare con i ragazzi invece di poltrire qui», propose Andrea alzandosi di scatto.
«Va bene, ma mandiamo Jasmine ad avvertirli, così ci vediamo tutti al solito posto sotto».
Come un orologio svizzero, appena nominato, apparve l’angelo facendo sobbalzare i due fratelli sul divano.
«Sei sempre il solito, spunti all’improvviso e ci fai spaventare! Qualche volta ci rimarremo secchi», gli precisò stizzita Andrea, portandosi le manine sul cuore.
«Scusate, spesso dimentico di comparire dal nulla, per me ci sono sempre, quindi, non penso di creare tanto scompiglio ogni volta. Laura vuole parlarvi e vi aspetta a casa di John», comunicò dolcemente Jasmine, dileguandosi con un inchino.
«Bene, Carletto tu prendi i giubbotti che io dico alla mamma che andiamo a trovare i nostri amici», disse Andrea, dirigendosi verso la cucina.
«Agli ordini sorellina». Raggiunto velocemente l’ingresso prese i giubbotti dall’attaccapanni e aspettò Andrea che si presentò subito, seguita dalla mamma: «Dovete ringraziare che viviamo chiusi in questo parco privato, alle otto a casa per la cena, va bene?», disse la mamma abbracciando i bambini.
«Certo mamma, saremo puntualissimi!».
Aprirono la porta e sfrecciarono fuori verso la villetta di fronte alla loro.
«Ciao John, ciao Laura, Henry», salutò Andrea entrando nella camera di Henry e John.
«Ciao Andrea, ciao piccolino», risposero i ragazzi con gioia.
«Siamo contenti di vedervi, dovevamo parlarvi», disse Henry alzandosi dal puff e invitando Andrea a sedersi.
«Anche noi abbiamo qualcosa da dirvi, ci sono delle novità», ripose Andrea togliendosi il giubbotto e accomodandosi sul puff.
«Che dovevate dirci?».
«Prima voi», rispose Carletto.
«Va bene. Dopo l’incontro di stamattina con gli angeli, ognuno di noi ha fatto mente locale per capire dove potrebbe essere situato questo posto dove nascondere il cuore di Lucifero», disse Laura, passeggiando su e giù per la camera di John.
«Scusa se te lo chiedo Laura, ma hai avuto più le tue brutte sensazioni?», chiese esitante Andrea.
«Sì, ho riprovato ad avvicinarmi all’orchidea e ho avuto di nuovo quelle sgradevoli sensazioni. E poi sì, le percepisco anche durante la giornata, quando mi soffermo o semplicemente se incrocio qualcuno», rispose Laura accigliata.
«Sicuramente sono persone con propositi poco nobili.», commentò Henry.
«Forse: in questi momenti, mi domando cosa vedrei, se fossi fuori dal mio corpo», rispose Laura perplessa.
«Certo che sei coraggiosa», la rimproverò John.
«Non capisco perché te la prendi tanto quando parlo di questo mio fantastico dono acquisito da Violet; a volte penso che tu sia un po’ invidioso di questa mia qualità», lo stuzzicò Laura.
«Non è affatto così! Non capisci che non sopporto di vederti inerme senza vita: tutto questo mi preoccupa», le chiarì John e sedendosi accanto a Laura l’abbracciò senza aggiungere altro.
«Ah meno male, tutto è bene ciò che finisce bene», applaudì Violet, materializzandosi di colpo. «Scusa Laura, ma prima che Andrea ti interrompesse, stavi dicendo qualcosa», chiese Carletto per stemperare l’aria pesante che si era creata.
Laura guardò il bambino stralunata, quindi, liberandosi delicatamente dalle braccia di John rispose: «Sì, parlavo del nascondiglio dell’orchidea e quindi del cuore di Lucifero. Pensavamo di fare un sopralluogo nell’istituto dell’arcangelo Uriel, ma sembra un’impresa difficile».
«È vero, sappiamo che anche John di mattina ha tentato di entrare in quell’istituto, ma è stato beccato», riferì Carletto, facendo cenno verso John.
«Ma chi vi ha detto che ho tentato d’intrufolarmi in quell’istituto?», chiese John.
«Un po’ di pazienza! Ascoltate cosa ci è capitato oggi pomeriggio: eravamo da poco tornati da scuola, quando sono venuti a trovarci mio zio e nostro cugino Enrico», incominciò Andrea, mettendosi in piedi.
«Enrico? Enrico Spadaro? Il ragazzo che frequenta il terzo liceo classico?».
«Sì, è stato proprio lui che ci ha detto che stamattina stamani ti avevano beccato mentre gironzolavi nel suo istituto Ha inoltre aggiunto che la scuola è intestata agli arcangeli perché … », e Andrea continuò a raccontare ciò che Enrico qualche ora prima aveva riferito loro, lasciando i ragazzi sbigottiti.
«Come si vede che c’è la mano di qualcuno dall’Alto», disse Henry ammaliato dal racconto.
«Ogni passo è il susseguirsi di un altro», aggiunse Laura.
«Già, questo era scritto in Contatti Angelici, vero?», chiese John volgendosi a guardare Laura, che annuì sorridendo.
«Bravi ragazzi! Questa sì che è una bella novità», si congratulò Henry con Andrea e Carletto.
«Allora, facciamo il punto della situazione, dobbiamo prendere il POF per fotocopiare la pianta della scuola, ma questo lo posso fare anche io», affermò Laura sfiorandosi il mento. Poi, girandosi verso Carletto e Andrea disse loro: «Voi avete il compito di ispezionare il vostro padiglione, infilarvi negli scantinati ed in ogni sgabuzzino per cercare di scovare l’oggetto misterioso. Lo stesso vale per me ed Henry riguardo alla scuola media. Infine John cercherà di scandagliare il suo edificio. Il problema resta solo per il padiglione delle classi finali del liceo, il padiglione dell’arcangelo Uriel. Come faremo?». Laura provava a riflettere facendo e rifacendo gli stessi passi avanti e indietro, quando una domanda improvvisa di Carletto fermò il suo andirivieni, fornendo la chiave della missione: «Laura, ma tu sapresti uscire dal tuo corpo senza richiedere l’intervento degli angeli?». «Perché me lo chiedi?», disse Laura, guardando un po’ tutti. «Perché in tal modo potresti raggiungere inosservata i punti più segreti della scuola!». «Non ci avevo pensato, non so, tuttavia se Violet mi lascia fare – disse aggiustandosi i capelli sulla nuca -, mi lancio nell’impresa. Dai ragazzi, sono le otto, è tardi per tutti! Andiamo a cenare e non facciamo preoccupare i nostri genitori». «Ma non sarà pericoloso fare questa prova da sola?», chiese John preoccupato. « Nessuna paura, fratello, abbiamo una copertura a 360° gli angeli sono sempre con noi e con Laura,!», lo rassicurò Henry. I ragazzi si guardarono scambiandosi un sorriso complice e fiero e, salutandosi soddisfatti, già pensavano alla tavola apparecchiata.
Cecile Caravaglios
To be continued