Prima il piacere poi il dovere

Prima il piacere poi il dovere

Correva l’anno scolastico 1995/1996 ed io affrontavo con carica leonina e fortissima determinazione il mio primo anno d’insegnamento. Fresca di laurea ottenevo il contratto presso un liceo scientifico gestito da religiose. Le suore appartenevano allo stesso ordine delle sorelle della nonna materna e ciò era bastevole e necessario per certificare la mia specchiata moralità e assicurare la mia altrettanto solida preparazione religiosa. La notizia giunse telefonicamente a casa mia e l’indomani mi presentai a scuola con notevole anticipo e una incontenibile felicità per il raggiungimento del tanto agognato traguardo. In macchina ripassai pure l’”Angelus”, poiché qualcuno mi aveva informata del fatto che nelle scuole cattoliche si recita quotidianamente a mezzogiorno. Cosicché, appena alle dodici l’altoparlante dell’Istituto diffuse la preghiera, io fui subito pronta in piedi a recitarla! La mia idea di insegnante e insegnamento era ancora indeterminata, ma un concetto l’avevo chiarissimo: l’insegnante deve sempre e comunque credere nell’alunno, spingerlo a trovare la propria motivazione! Accrescere e coltivare l’autostima! Essere appassionante, trainante, convincente! Perché tutti prima o poi dimenticano le nozioni, ma tutti hanno il diritto di pensare di essere soggetti capaci di muoversi nel mondo. Le informazioni si cercano e si collegano in qualsiasi momento della vita, ma la consapevolezza di sé si costruisce quotidianamente e occorre cura e acume, oltre una o più guide sagge e amorevoli. Carica di queste convinzioni affrontai i primi giorni di scuola; mi venne affidato il biennio, mi sentivo a mio agio in classe, forse perché avevo sempre visto mia madre incastrata nella cattedra come un’ape nella celletta dell’alveare.

Nelle mie classi si creò subito un clima piacevole e allegro e i ragazzini vivevano le ore di lezione con disinvolta e naturale partecipazione. Ogni giorno riprendevamo gli argomenti trattati durante la lezione precedente e oltre i soliti noti, quelli che sanno sempre tutto e lo devono puntualmente dimostrare, cominciavano ad emergere le voci di quelli più timidi, timorosi, riservati, insicuri. Ascoltavo i loro interventi e, dopo ogni osservazione anche stentata, libresca, ancora poco coerente o espressa in modo mediocre, mi scatenavo in complimenti esageratissimi, alzavo a dismisura il tono, già squillante della mia voce, mi compiacevo, complimentavo, mi perdevo in espressioni esaltanti, citazioni di Alfieri, riflessioni sulla volontà e il potere enorme della mente, sul fatto che avevano finalmente dissotterrato i loro talenti e li stavano mettendo in piazza per scegliere il loro futuro da protagonisti assoluti del loro destino! Loro mi guardavano sbalorditi e increduli, immaginando di essere diventati inconsapevolmente dei supereroi e promettevano solennemente di continuare a percorrere la strada vittoriosa del successo! Accoglievo le loro promesse e annotavo sul registro il voto che sanciva il riscatto! A quel punto, un vivacissimo alunno, di quelli irriducibili ma simpatici, scattava in piedi e in quell’atmosfera di gioia e rivincita individuale e collettiva, declamava le battute del film Rocky 1 in cui il protagonista, duramente provato da un allenamento estenuante finalizzato ad una durissima sfida di pugilato, saliva velocemente una rampa di scale e urlava: “Si, perché io ce la posso fare, perché tutti ce la possiamo fare!!! Adrianaaaaaaaaaaaaaaaa! Il nome della fidanzata che a quel punto sopraggiungeva. Era l’epilogo divertente che restituiva ogni pagliaccio al suo circo, ma che ci faceva ridere a crepapelle, disturbando la quiete candida dei corridoi luccicanti della scuola!

Oggi si parla tanto di motivatori e di coach, ma se pensassimo che il dovere si assolve solo se si pregusta il piacere, sarebbe tutto molto più semplice.

L’apprendimento deve essere fonte di piacere, scoperta allegra e appagante, deve conferire felicità!  Il dovere per il dovere è noioso e impercorribile. Il piacere è la via maestra per la riuscita!

E, inoltre, non si riesce bene in tutto, alcune fette della torta saranno eccellenti, altre discrete, altre mediocri. L’importante è provarci e riprovarci. Aggiungerei pure e, con concreta contezza, che la vita riserva sempre sorprese e che, durante il cammino, si possono scoprire nuovi ed inimmaginabili talenti da sfoderare e affinare per sperimentare se stessi in situazioni, prove, confronti nuovi ed eccitanti. Perché chi si ferma è perduto!

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Alessia Machì

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