Stracciarolo

Stracciarolo

Supersonico, il volo del primo mattino ha attivato il giorno di tanti sconosciuti già da qualche ora. Lo sguardo implorante la sveglia ha chiuso preparativi e bagagli sul gong del tutto pronto, glorificato dal mento a misura di cravatta, il tacito assenso di cosa si lascia, le tracce ridenti di un’essenza francese. Insistente, incalzante, misterioso sfreccia sul sonno, che non si scompone, si compiace di quella accelerata roboante sulla città, raggiunta, qualche notte prima, allo stesso modo, solcando il blu che porta a Roma. Superba e incurante la scia stereofonica prosegue verso Nord, svanendo improvvisa dagli ascolti lontani, fermamente assorbiti dal proprio cuscino. Si è alzato prestissimo e chissà, quanta strada ha percorso, magari negli stessi tempi di un aereo borghese, come ha superato campagne, cartelli e frecce, un improvvisatore della sorte, uno speranzoso nel destarsi altrui, un disattento ai loro beni, un passante fra le loro dimenticanze. Guarda in alto, il cielo intorpidito segna la grinza di un filo biancastro. Varca il gate del quartiere prossimo al latte della centrale, comprato la sera prima al bar, al pane di Terni, ai maritozzi corteggianti vaniglie, alla pizza bianca del forno di due isolati più in là, perché la fanno più buona, ai rassicuranti rituali del nuovo giorno. Landed. Stracciarooooooooooooooloooo. Questo sì che è un suono dirompente. Sale dal basso, cerca di raggiungere ogni piano, fino a quello più alto. Ogni angolo dimenticato, dei sofà sommersi da stoffe, dei guardaroba, di un ricordo di cui sbarazzarsi. Si estende intonata la sua unica strofa, continua e ferma nel timbro di ogni sillaba, slancio di fiducia, in affari composti con la miseria che non umilia, chiede, nel canto del suo nome. Quelle stanze vanno via. Svanisce il resto. Siamo arrivati, dal citofono del cancello, e poi a fianco del portone. Il telefono squilla all’entrata rimossa, si ripete, originario e possente, custode di attese, segreti, verità, pianti, sguardi come a guardar qualcuno, risate e ho preparato le fettuccine. Trilla, sulla sua mensolina di vetro, sui numeri in ordine alfabetico fra le pagine di una rubrica legate alle persone, le più lontane le più vicine, riservata e affidabile sul ripiano sottostante. Gli abiti nuovi, gli occhi chiari, previsioni e promesse. Nuovo prefisso, per chiamate fuori stagione di voci amate. Il cuore si straccia, come quel richiamo vagabondo e distratto, sentendosi a casa nell’amore che non si estingue.

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Cristina Picciotto

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