La signora Clelia – quarta puntata
La signora Clelia aveva smesso presto di credere alle favole.
Nessuna bambina attraversa il bosco da sola, diceva. E non c’è bacio che risvegli dal sonno mortale di un maleficio. Faceva confusione anche lei tra le storie edulcorate dell’infanzia, private del loro finale mai lieto nell’età adulta che incombe, e la morale antica restituita all’umanità dalla sua più sincera dimensione animale.
La fiaba non era mai riuscita a incantarla. Niente regni fatati, prima della buonanotte, per accompagnare il sonno lontano da una realtà in cui orchi e streghe erano più veri e pericolosi che in una qualunque ipotesi di fantasia.
Le favole invece restavano impresse nella memoria di poche righe, in fondo a storie che non erano poi così importanti. Un lupo e un agnello, parabola laica della vittoria degli oppressori sugli oppressi; un corvo e un pezzo di formaggio, specchio gracchiante della stupidità umana arrendevole alle lusinghe; per non parlare della formica e di una cicala che, nonostante tutto, speriamo sempre di sentire cantare, in barba al perbenismo utilitaristico di infaticabili paladini del profitto.
La signora Clelia non conosceva le leggi del mercato e non aveva studiato le complicate interazioni tra economia e società ma sentiva che un canto avrebbe potuto cambiarne la morale. Un canto a più voci, un coro di cicale e formiche insieme, per asciugare la fronte di tutte le fatiche dell’estate e scaldare l’inverno del cuore. Perché, la signora Clelia ora lo sapeva, non era dove a fare la differenza tra estate e inverno, ma con chi. E non vedeva l’ora di raccontarlo alla sua amica Raffaella, da una finestra aperta o meglio ancora in un favoloso abbraccio.
Maria La Bianca
To be continued