Muriel – 9 Confidarsi

Muriel – 9 Confidarsi

Quarto D’Altino, 26 febbraio 2012

Prima di uscire, Laura si soffermò sull’uscio della biblioteca perplessa per il sorprendente comportamento della hostess e ancor di più per la scoperta fatta; si imbacuccò per benino, riguardò i volumi che aveva preso in prestito e stringendoseli al petto aprì la porta e inoltrandosi nell’aria fredda del pomeriggio con il cuore trepidante.

Che cosa significava quell’orchidea? E chi l’aveva posta in quel volume? E come mai la bibliotecaria conosceva il suo nome? Mentre s’incamminava verso casa, la sua mente era affollata da mille interrogativi cui non riusciva a dare una risposta. «Carletto, devo parlare con Carletto», pensò e, accelerando il passo, arrivò al cancello del parco del villaggio, lo aprì e con passo spedito si diresse verso casa dell’amico.

«Ciao Laura, dove stai andando?», strillò John dalla finestra di casa, facendo saltare in aria Laura, che alzò lo sguardo e vide il ragazzo che le sorrideva.

«Vedo che hai fatto acquisti», continuò, accennando con la testa ai volumi che Laura teneva fra le braccia.

«Ci … ciao John, no, niente stavo andando a casa», rispose Laura colta di sorpresa.

«Ma casa tua è dietro le tue spalle», precisò John, indicando la villetta proprio accanto alla sua. «Oh! Sì, non mi sono accorta che l’avevo superata, grazie». Tuttavia la ragazzina non si muoveva dal posto in cui era e non sapeva più che fare.

«Ehi! Ti senti bene? ».

«Sì certo … », rispose Laura evasiva. «Aspetta che scendo», si offrì tempestivo John.

«No! Non occorre!», ma il ragazzo era già sparito dietro le tende.

«E ora che gli dico? Devo raccontarlo anche a lui, non … », e il suo pensiero fu interrotto dall’arrivo dell’amico.

«Dimmi Laura, che ti è successo? Questi libri sembrano pesanti!», e con un gesto deciso glieli sfilò dalle braccia. «Pesano un quintale, ma che libri sono? … Sei stata in biblioteca? Uhm! Angeli Custodi, e questo …  Contatti Angelici». Il ragazzo perplesso alzò gli occhi e si accorse che Laura aveva un’espressione indecifrabile. «Per caso mi sono perso qualcosa?».

«Veramente … ».

«Laura dove stavi andando? E che cosa significano questi libri? Curiosità sui nostri amici angeli?».

Laura, diventata rosso fuoco, non riusciva più a guardare l’amico negli occhi: «No … Cioè sì, ma io … ».

«Laura tu non ti fidi di me? Eppure, lo sai che non farei mai qualcosa che potrebbe ferirti».

«Sì, lo so … e va bene, andiamo a casa mia e ti racconto tutto».

 «Ok, prendo la giacca e andiamo», e correndo si dileguò dietro la porta di casa.

«Ti aspetto», sussurrò Laura poco convinta.

Veloce come un fulmine, John rapì Laura dai suoi pensieri.

«Possiamo andare», e presi i volumi dal muretto, dove li aveva posati, il ragazzo si avviò radioso con Laura, sempre più incerta. Bastarono pochi passi per arrivare. Le villette attigue si assomigliavano per la struttura, ma si differenziavano per i colori e altri dettagli. Esterni dalla tonalità mattone quella di John, con infissi e accessori verde scuro visibili da fuori e altro verde, quello di lussureggianti siepi, attorno. Tinta miele e infissi in legno, comprese porte e finestre, e un variopinto giardino caratterizzavano la casa di Laura. Appena arrivati, la ragazza aprì con uno scatto deciso delle chiavi la porta e fece cenno all’amico ad entrare.

«Dai sediamoci nel salotto, tanto papà ancora non è tornato e possiamo parlare liberamente», disse Laura togliendosi il giaccone. Aspettò che anche l’amico si fosse levato il piumino e lo invitò a seguirlo in una stanza piena di quadri, con al centro due grossi divani, un camino e accanto una poltroncina di pelle rossa e una grossa piantana verde muschio. Sotto la finestra stavano una vecchia scrivania, con tanto di computer piazzato sopra, e una sedia girevole. John si guardò attorno: era entrato in quella villa centinaia di volte, ma per lui era sempre la prima, poiché le sue visite erano spesso veloci e di solito veniva accolto in cucina o nella stanza di Laura. Il salotto, infatti, era lo spazio del padre di Laura, quello dove trascorreva la maggior parte del tempo quando stava a casa. Quel giorno, pertanto, avendo via libera, i ragazzi preferirono stare lì. John si accomodò così sul divano, mettendosi i libri accanto a lui.

 «Ti va un po’ di tè», chiese gentilmente Laura all’amico, che intanto inseguiva i suoi pensieri.

«Sì, grazie».

«Allora vado, il tempo di prepararlo!», rispose la ragazzina e s’infilò in una porta adiacente, da dove erano visibili delle sedie e la cucina con i fornelli.

John, rimasto solo, osservava attentamente gli oggetti, accorgendosi che, dal fianco della poltroncina in pelle, faceva capolino un cesto con due ferri per la lana che fissavano la trama di una maglia iniziata. Accanto, si trovava un tavolino, sul quale campeggiava la foto incorniciata di una bella ragazza con gli stessi occhi di Laura.

«Quella era mia madre», suggerì Laura alla sua spalle, di ritorno dalla cucina. John si voltò e la vide avanzare con un vassoio fra le mani, dove tutto era pronto, le tazze fumanti e un piatto colmo di biscotti assortiti.

«E  quella la foto del matrimonio. Lei era bellissima!», continuò Laura.

«Sì molto, le somigli!», disse John, fissando Laura.

«Grazie!», rispose, arrossendo un po’. Quindi, poggiato il vassoio sul tavolo di fronte al divano, ebbe la mano libera per indicare la poltroncina già notata da John: «La mamma stava spesso seduta lì e mio padre non è mai riuscito a togliere il cesto del lavoro che lei stava ultimando. Su serviamoci!», aggiunse per non mostrarsi commossa. Ma l’amico si era già accorto dei suoi occhi lucidi e non si lasciò distrarre, rimanendo sul discorso: «Deve essere dura per voi vivere senza di lei!».

«Sì, ancora oggi, non riesco a credere che non ci sia più. Ci ha lasciati all’improvviso. Un infarto. Ed è volata via, senza che potessimo renderci conto di nulla. Spesso mi convinco che sia viva, qui vicino a me, forse per questo sto prendendo così a cuore il nostro incontro con gli angeli», rispose, allungando lo sguardo ai volumi posizionati sul divano dall’amico.

Rimasero in silenzio per qualche minuto sorseggiando il te, poi John disse seriamente: «Laura il nostro incontro con gli Angeli non è un caso e tu non stai assolutamente vaneggiando. Loro esistono realmente e penso che, per mostrarsi a noi, un motivo debba esserci». Fece una pausa per scegliere un biscotto al cioccolato e, pregustandolo con gli occhi, chiese con falsa aria indifferente: «Cos’è successo con Violet l’altra sera? Sei cambiata! Cosa mi nascondi?». Laura rimase impietrita. Si sentì sprofondare, poiché non si era resa conto di avere esternato in qualche modo quello che sentiva dentro. Prima guardò l’amico incerta poi, posata la tazza sul tavolo, abbassò lo sguardo e anche se il cuore le batteva forte per la paura, le stava dicendo che si poteva fidare. Raccontò allora ciò che le era accaduto, partendo dall’attimo del contatto con l’angelo e tenendo l’amico col fiato sospeso. Aggiunse quindi per concludere: «Da quando ho cominciato ad avere queste sensazioni strane, ho deciso di chiedere a papà il permesso di andare in biblioteca e, presi quei libri, stavo andando da Carletto, quando tu mi hai chiamato».

«Perché andavi da lui e non hai pensato a me? Sai che potrei anche offendermi», scherzò John, ancora sorpreso dall’onniscienza della bibliotecaria.

«Perché Carletto mi è sembrato il più preso di tutti voi in questa situazione. Ho avuto un po’ l’impressione che tu, Henry e Andrea non siate così convinti di questa storia o, per lo meno, non quanto me e Carletto», rispose un po’ imbarazzata Laura. John la corresse subito: «Ti sbagli: forse all’inizio sì, ero un po’ scettico, mi sembrava tutto molto strano, ma poi, dopo quello che è successo al parco, no. Per me è stato lampante!».

«Mi dispiace John, non volevo offenderti, e in ogni caso ora siamo qui. Ti ho raccontato tutto e ora ho mille dubbi per la testa», osservò Laura, posando la mano sulla fronte, per poi alzarla quasi al rallentatore. «Quale parco?», esclamò socchiudendo e poi spalancando gli occhi.

John impallidì e avrebbe voluto che la terra lo inghiottisse, pur di non trovarsi in quella situazione grottesca.

«Ah! In effetti, anch’io avrei qualcosa d’importante da farti sapere. Scusami se non l’ho fatto subito, ma mi sono sentito un po’ confuso … dopo il sogno che ho fatto … », farfugliò John sperando che Laura capisse.

«Sogno? Quale sogno?», ribatté sempre più spiazzata Laura.

«Aspetta è meglio andare per ordine. Ieri mattina … », e confidò la sua avventura a Laura, che rimase attenta ad ascoltarlo, indispettendosi un po’ nei suoi confronti, anche per tutte quelle cose che le stavano ulteriormente frastornando le idee.

«Ehm! E questo è tutto», sospirò John, convinto di aver appassionato Laura alla sua storia e di averle fatto sbollire la rabbia.  Cercò di portare il discorso su un piano più comune e, continuando a far finta di niente, le chiese: «Scusami Laura, in tutto questo hai più rivisto gli angeli?».

Laura, realmente, era stata rapita dal racconto di John, ma non tanto da dimenticare che l’amico l’aveva trattata male; e con gli occhi accesi come se emanassero scintille, lo rimproverò aspramente.

«John tu mi hai fatto sentire in colpa, perché non ti avevo raccontato ciò che mi era accaduto e intanto, hai commesso il mio stesso errore, tenendoti per te una cosa così importante! Mi sento offesa, e il bello è che ero io a scusarmi!».

Sbigottito per la reazione di Laura, John cercò di tranquillizzarla: «Calmati, Laura! Io sul serio non ho avuto tempo, non ci siamo incontrati e oggi quando ti ho visto …  non ci ho pensato più. Perdonami Laura, ti prego di perdonarmi, sono sincero!».

«Va bene, ti scuso», tagliò corto la ragazza. Prese la teiera oramai vuota, andò in cucina per riempirla nuovamente e tornò al suo posto, mantenendo un imbarazzante silenzio, ma solo per qualche minuto. Poi, come se niente fosse, riprese il discorso lasciato in asso.

«Riguardo agli angeli, beh, un’altra cosa strana è che li sento, li percepisco. So che Violet è qui vicino a me, sento anche la presenza di Camomile, ma come sai, loro, per mostrarsi, devono essere chiamati, e Violet … da quella volta del nostro contatto non l’ho più chiamato».

«Ma prima del contatto, ti capitava di percepirli?», riattaccò timidamente anche John.

«Sì, ma non in questa maniera così netta, inoltre faccio sogni complicati …  che ricordo molto vagamente», aggiunse abbandonandosi alla spalliera del divano.

«Sai cosa penso? Che questo sia il momento di chiamarli. Chi meglio di loro potrebbe spiegarci questa situazione?», propose John risoluto.

«E se Violet ce l’avesse ancora con me?».

«Che dici, è un angelo e gli angeli non portano rancore! O sbaglio?».

Laura ancora incerta sostava con la tazza fra le mani, riflettendo: «In effetti non dovrebbe … forse sono io, che mi sento troppo mortificata per chiamarlo. Chiama tu Camomile e vediamo se ci dice qualcosa». John, che stava ancora sgranocchiando un biscotto, acconsentì e dopo aver bevuto un altro sorso di tè, chiamò il proprio custode. In un baleno, l’angelo prese forma accanto a lui.

«Eccomi qui, se mi aveste chiamato prima, avrei risolto un paio d’interrogativi evitandovi di farvi litigare. Primo, cara Laura, Violet è mortificato quanto te per l’accaduto. Secondo, voi, nonostante sappiate che ci siamo, vi ostinate a non prenderne coscienza, soprattutto ora che Laura è più sensibile alla nostra presenza», asserì Camomile con molta energia.

Riprendendosi Laura chiese: «Che cosa ho acquistato io in più di loro? Che volevi dire?», ma in lontananza sentì aprire la porta e una voce familiare che la chiamava: «Laura, sei in casa?».

«Sì papà!», e, con un cenno, fece intendere a Camomile di scomparire, ma suo padre era già entrato nella stanza.

«Che buon odore di camomilla … uhm! Noto che già vi siete serviti. Che avete, perché mi fissate così?»

 «Niente, non ti aspettavo così presto», rispose stupita Laura.

In realtà, i ragazzi erano turbati dal fatto che il padre era a faccia a faccia con l’angioletto, ma non lo vedeva. Sorridendo l’angelo, accennò a un saluto e si dissolse nell’aria. Laura quindi finalmente si alzò e corse incontro al padre per abbracciarlo.

«Ciao papà! Come mai così tardi?».

 Il padre che aveva preso un dolcetto e se lo stava gustando rispose: «C’era traffico. Perdonami, ma un istante fa, non mi avevi detto che non mi aspettavi così presto? Ciao John! Come mai camomilla a quest’ora?», disse guardando perplesso la teiera e sollecitando un risolino soffocato nei due ragazzi.

Un po’ impacciata Laura rispose: «Beh, veramente non lo so … io di pomeriggio sono stata in … ».

«Biblioteca», rispose il padre fissando i volumi.

«E tu come lo sai?», intervenne Laura un po’ allarmata.

«Beh! Prima di tutto perché mi avevi chiesto il permesso stamattina! E poi per questi», e avvicinandosi al divano prese in mano i libri. «Questa è la targhetta della biblioteca comunale». «Angeli Custodi», e il signor Loreto lanciò uno sguardo alla figlia, ma non disse niente.

«Bene ragazzi vi lascio, vado a preparare la cena».

«Anch’io vado via, i miei mi staranno cercando. Buon serata, signor Loreto», disse John alzandosi dal divano.

«Ciao John, salutami papà», rispose il padre di Laura affacciandosi dalla cucina.

«Non mancherò», e si avviò verso l’ingresso.

«Aspetta, ti accompagno», disse Laura seguendolo.

Mentre indossava il suo giubbotto, John sussurrò a Laura «Senti, che ne dici, se ci teniamo in contatto attraverso i nostri angeli? Vediamo se funziona!».

 «Va bene, proviamoci anche da stasera». John, salutandola con un bacio leggero sulla guancia, aprì la porta e corse via.

Cecile Caravaglios

To be continued

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