Come la pioggia – 2

Come la pioggia – 2

“Mi capitava di rivederla nei miei sogni qualche volta. 

Oppure di sentirla parlare, anche se non avevo mai udito il suono della sua voce.

Tutto dal nulla, così, senza un perché e senza un come. 

A volte penso che se avessi saputo di lei prima l’avrei cercata ovunque; ma come si può sapere in anticipo chi o cosa ti sconvolgerà la vita?

Avevo l’abitudine di correre la mattina presto in quel periodo, perché mi piaceva l’idea di mettermi all’opera quando invece la città intera dormiva un sonno profondo.

Perché mi piaceva guardare l’alba e vedere le lucciole spegnersi pian piano allo spuntar del sole. Piccole gioie della natura.

Correvo e basta. Il flusso dei Radiohead mi dava la carica per percorrere giusto gli ultimi chilometri prima di arrivare al fiume.  

Così un giorno fui interrotto da qualcosa che attirò la mia attenzione, alla quale non avevo fatto caso prima, perché stavo cercando di non lasciarmi vincere dalla fatica prima di terminare la distanza che mi ero prefissato.

Una ragazza. Con una macchina fotografica, un diario, uno zainetto.

Era lei. E stava fotografando me.

Ero io il soggetto dei suoi paesaggi.

Mi fermai e la guardai; ricambiò lo sguardo, sorrise arrossendo.

Si avvicinò a me e indicandomi la sua “reflex” nera mi disse: “Credo proprio che abbia perso qualcosa”.

Non sapevo cosa dire, impacciato, ma non troppo. Allora lei indicandomi la fotografia ripeté: “Vede?! Credo proprio che abbia perso qualcosa”.

Ritornata per un attimo la lucidità ero certo di non aver perso nulla.

Controllai le tasche e avevo tutto quello che mi serviva: il cellulare e le chiavi di casa erano al loro posto e allora non riuscivo proprio a capire.

Vidi la fotografia.

C’ero io e sorridevo. Come non facevo da tempo.

“Se crede di non aver perso nulla, lo tengo io questo meraviglioso sorriso… Non le dispiace vero?!”

“No”

“Grazie, mi ha fatto davvero un bel regalo oggi!”

E andò via. Le avevo appena regalato il mio sorriso più bello e spontaneo e io rimasi a guardarla attonito mentre i suoi contorni iniziavano ad offuscarsi in lontananza. In quel momento mi sentivo come se avessi perso ogni punto di riferimento; tutte le donne che mi sembravano lei le scrutavo dalla testa ai piedi; ma non c’era tra quei tanti volti femminili, truccati e privi di significato. Ho immaginato potesse essere solo nella purezza delle cose, nei gesti delle persone umili. Distratte.

Improvvisamente squillò il telefono: Sophie, la mia segretaria, mi riportò alla realtà ricordandomi tutti gli appuntamenti presi per quel giorno, cominciato nel migliore dei modi.

Quindi di corsa a casa, doccia e poi in ufficio, a fare il direttore del mio giornale, a scrivere… cogliere lo scoop nell’aria… e non concedersi un secondo per pensare. E ritrovarsi a casa, dopo l’intera giornata, buttato sul divano. Finalmente di nuovo a ripercorrere quella mattina.  Ricreai i suoi occhi, il suo volto. Il mio sorriso rubato e portato chissà dove. Cominciai a chiedermi perché mi avesse scelto per un suo scatto.

Mi piaceva pensare che avesse scelto me per un motivo preciso, come io avevo scelto lei per un qualche motivo preciso.

Però avevo capito una cosa: non bisognava cercarla. Ma aspettarla.

Perché sarebbe comparsa da un momento all’altro, quando meno me lo sarei aspettato. E mi avrebbe sorpreso come aveva fatto quella mattina… Crollai, fra i convenevoli dei miei pensieri. Come non mi accadeva da tempo. Anche il soffitto inesorabile lassù era andato a dormire. Per addormentarsi, evidentemente, bisogna avere fiducia. In qualcosa, anche d’indefinito, bello ad ogni suo ritorno. E nell’evanescenza del sogno.

Giulia Magnasco

To be continued

https://viadeiraccontinumerotre.it/comelapioggia

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