E provvida venne…
Capita a tutti di vivere passaggi scomodi e inattesi, macigni che piombano improvvisi e violenti sulle nostre vite scaraventando ansia e paure, cospargendo di interrogativi nuovi la routine frettolosa e impostata delle nostre settimane. Accade che un pulviscolo cattivo e ingeneroso di novità strattoni energicamente la nostra mente e, soprattutto, capovolga in modo impetuoso l’ordine approvato delle nostre priorità e consuetudini. Sono i momenti in cui le nubi nere si addensano senza lasciare spazio a spiragli di luce, colore, respiro. Il tempo precedente resta inesorabilmente sospeso e la mente cerca riferimenti, appigli, certezze, ma le risposte mancano e le domande si affollano incessantemente senza tregua, senza esito. In queste circostanze ti trovi ad attraversare luoghi impensati, dei quali conoscevi pure l’esistenza, ma che non ti avevano mai sfiorato, riguardato, incontrato; ti ritrovi ad ascoltare parole e linguaggi nuovi, dei quali pensi di conoscere il senso, ma non completamente. Soprattutto, ti confronti con vicende di altre vite, di altre realtà, di altre sofferenze che divengono, nei luoghi di dolore, le tue sofferenze, le tue vite, le tue realtà. I corridoi della paura aiutano a riconoscersi parte delle vicende dell’umanità intera, senza titoli, senza censo, senza differenze; il senso di partecipazione e solidarietà emerge fortissimo e tenace quando l’altro è vicino nella stessa difficoltà e condivide stenti e angosce. La condivisione non è cercata, ma naturale, istintiva, necessaria. In questo tempo sospeso e scorticato, tra le interpretazioni varie e diverse dei fatti e degli sviluppi, tra l’odore di disinfettante e le riprese di fiato, tra una telefonata e un messaggio, osservi addetti ai lavori di tutti i tipi, ti confronti con il mercenario, lo strafottente, il missionario, verifichi con poco l’immensa varietà dell’umano sentire e della capacità o volontà di percepire l’altro come simile o come numero e turno. Rifletti sui contorni e limiti di ogni lavoro, che porta con sé la sensibilità innata e la disposizione ad aderire e partecipare, percepire, sentire, leggere negli occhi di chi ti guarda; oppure l’indifferenza, l’estraneita’, l’attitudine ad alzare le spalle e chiudere le porte.
Eppure, quando affondi nel mare nero e severo del male, quando i passi contano l’incespicare devastante di un animo ferito, può accadere di incontrare casualmente un portiere, un giardiniere, un posteggiatore o chissà chi, giunto da chissà dove che, guardandoti negli occhi e intuendo cosa celano o dichiarano, ti rassicura e con voce ferma e chiara asserisca: “Signora, tutte cose bene devono andare!”. Magari è la voce del caso, dell’ignoranza, della presunzione, forse non andrebbe neppure ascoltato, attenzionato. Ma è bello e necessario credere, talvolta, nelle carezze calorose che distendono le pieghe dell’animo, nella bontà senza se e senza ma, nel bello che trova una via e, come per Napoleone Bonaparte solo sulla spiaggia del suo esilio, pensare che:“…Provvida venne una man dal cielo!”.
Fiamma d’Avalos
TO BE CONTINUED…