Muriel – 12 Eroina del giorno

Muriel – 12 Eroina del giorno

Laura guardò la sveglia e trasalì, era tardissimo e doveva ancora vestirsi. Suo padre l’aveva già chiamata per la colazione, ma si era riaddormentata senza rendersene conto.

Indossò la tuta, le scarpe da ginnastica e corse in bagno a pettinarsi davanti allo specchio: «Ciao Violet, che novità mi porti?», disse mentre la leggera figura di Violet prendeva forma accanto a lei.

«John ed Henry hanno fatto delle scoperte eccezionali su quel libro», esclamò Violet, svolazzandole attorno.

«Davvero? Allora John oggi si farà vivo di sicuro!», disse Laura alle prese con la spazzola fra i lunghi capelli neri, parlando all’angelo riflesso sullo specchio.

«Laura! Io dovrei andare al lavoro!», urlò il padre dal fondo delle scale.

«Sono pronta, scendo subito!», rispose Laura; poi rivolgendosi all’angelo sussurrò: «Devo scappare, è tardissimo! Tienimi informata, Violet, ti voglio bene!».

«Certo piccola», e volò via.

«Laura, ma con chi parli?», chiese il signor Loreto, a cui giunse comunque la vocina leggera della figlia.

«Con nessuno, papà, solo con te», lo rassicurò con un sorriso la ragazzina, raggiuntolo di volata all’ingresso.  Con lo zaino appena assestato in spalla aprì la porta di casa e continuò la sua corsa verso la macchina, seguita dal padre. Una volta a bordo, mangiò di gusto il sandwich che il padre le aveva preparato e poi posato sul cruscotto prima di ingranare la prima, mentre l’aria fresca e frizzantina si faceva sentire dai finestrini aperti.

 «L’aria profuma di fiori», osservò dopo una cinquantina di metri Laura.

« Hai ragione, la sento anch’io,. Sembrano fiori! Viole!».

«Sì papà, viole!», asserì annuendo e sorridendo fra sé e sé.

«Stiamo già facendo tardi, speriamo che non ci siano altri intoppi», si augurò il signor Loreto, osservando il traffico già intenso.

«Non preoccuparti papà, a prima ora ho lezione di ginnastica e la professoressa è più ritardataria di me», cercò di tranquillizzarlo Laura.

«Bene! Spero che vada bene anche con il mio capo. Ecco, tesoro, sei arrivata; mi raccomando, segui le lezioni con attenzione!», disse il padre accostando per farla scendere.

«Agli ordini, papà», rispose Laura già sul marciapiede, dopo essersi presa il consueto bacio in fronte.

«Ehi, Laura, aspetta! Devo parlarti», la chiamò John, andandole incontro.

«Ciao John, sì mi aveva già informato Violet: ma non potremmo parlare più tardi? La lezione sta iniziando!», gli propose salendo gli scalini della scuola.

«Ok, all’uscita qui».

«Va bene John, ci sarò!», e imboccando il corridoio, si diresse verso la palestra, lasciando John ad osservarla.

Entrò trafelata nella grande stanza attrezzata, dove i compagni erano già in fila pronti per l’appello. Fu un istante e una strana sensazione la pervase.

«Come al solito in ritardo, signorina Laura!», la richiamò una voce squillante dall’altro capo della fila.

«Scusi professoressa, ma c’era traffico e … ».

«Va bene, anche per questa volta sei scusata, posa la tua roba e allineati con gli altri».

«Certo professoressa», rispose fermamente.

Filò nello spogliatoio, aprì l’armadietto per posare lo zaino e il giaccone e nuovamente fu colpita da uno sgradevole turbamento. Non riusciva a capire che cosa fosse. Perplessa si guardò intorno, ma non vide nulla; sistemò quindi lentamente le sue cose sul ripiano a lei riservato, chiuse lo sportello e si allontanò di fretta, con quella strana sensazione di cui non riusciva a liberarsi.

«Oggi lavoreremo con il quadro svedese», annunciò la professoressa, dirigendosi verso l’attrezzo posto in fondo alla sala in alto. Laura la seguì, non riuscendo a scrollarsi di dosso quel sordo malessere. Una volta davanti al grande attrezzo, si girò intorno con aria curiosa e preoccupata, era come se stesse per succedere qualcosa di avverso, doveva capire cosa. Catturò il rumore sinistro di un cigolio, che le fece sollevare il volto verso il soffitto e poi scendere poco verso la parte estrema della parete, dov’era visibile che uno dei grossi ganci che trattenevano il quadro era per metà fuoriuscito dal muro, sul punto di cedere.

«Via, allontanatevi, non vi avvicinate! L’attrezzo, sta cadendo!», gridò verso i compagni, spingendo lateralmente quelli che si ritrovava vicino. Anche la professoressa, dopo aver esitato una frazione di secondo per il soprassalto, reagì al suo allarme facendo cenno agli altri di scostarsi.

Ferma a controllare che tutti gli alunni sgomberassero il campo, non si accorse che frattanto il chiodo aveva abbandonato il suo appiglio nel muro lasciando che l’attrezzo scivolasse maldestramente, sfiorandola. Si ritrovò scaraventata per terra qualche metro più in là, mentre l’attrezzo con un assordante boato crollava definitivamente sul linoleum. Prima esplose uno scompiglio di urla, poi la consapevolezza del pericolo corso portò un gelido silenzio. La professoressa si accorse di avere Laura lungo il fianco destro, scivolata per terra, dopo la rincorsa salvifica verso di lei. Le sue mani l’avevano spinta, le sue mani l’avevano salvata. Realizzò subito che le cose erano andate così. E come tutti gli altri non parlava, con gli occhi ora spalancati verso l’alto, ora bassi a guardare i calcinacci disseminato intorno. Abbracciando la ragazzina tremante tirò fuori la voce, smorzata dalla commozione: «Grazie Laura … ma … com’è stata possibile una cosa del genere? Com’è successa? Se non ci fossi stata tu?!  Mi avrebbe schiacciato!». Laura non disse nulla e, sciogliendosi garbatamente da quella stretta, si rimetteva in piedi: i compagni stavano gli uni vicini agli altri di fronte a loro. Che cosa fosse accaduto, se lo chiedeva anche lei, mentre sentiva il caldo delle lacrime scivolarle sulle guance. Intanto anche la professoressa si alzava, cercando di togliere con le mani il bianco che ricopriva i suoi vestiti, ma era inutile, poiché era immersa in una nuvola di polvere.

Provando a riprendersi si avvicinò agli alunni e con la voce più convincente che aveva disse: «Ragazzi siete state bravissimi a non farvi prendere dal panico, anche se ci siamo spaventati tutti. Da qui è meglio andar via, torniamo subito in classe». Prendendo Laura per mano, uscì dalla palestra, seguita dai ragazzi taciturni. Laura divenne subito l’eroina della giornata, nel chiacchiericcio che si era rapidamente diffuso per tutta la scuola, dopo che la professoressa di educazione fisica, consegnati gli alunni ad una collega che la sostituisse momentaneamente in aula, l’aveva portata con sé in presidenza a fare il resoconto dell’accaduto al preside e poi, di ritorno in classe, accennava a chiunque incontrasse della catastrofe scampata, grazie alla straordinaria prontezza della sua alunna. Ricoprì Laura dei suoi grazie, e le chiese espressamente, allentando il passo, di poter vedere il padre a fine mattinata, per mostrare anche a lui la sua gratitudine. Finalmente rientrata in classe, i compagni la acclamarono con un applauso lungo e spontaneo, mostrando anche loro meraviglia e riconoscenza. Si ricomposero velocemente con l’inizio della lezione successiva, matematica. Laura ebbe così modo di appartarsi mentalmente da tutto e anche da Violet, di cui avvertiva la presenza, ma non la forza di contattarla, aveva avuto troppo paura. La campana dell’ultima ora fu l’attesa liberazione: raccolse le sue cose, le infilò nello zaino e si mosse verso l’uscita attorniata da un gruppo di ragazzi, che ancora le chiedevano qualcosa, esasperandola oltre ogni limite. «Ancora poco e finalmente sarò fuori!», si disse, congedandosi con un sorriso formale da tutti, prima di scendere speditamente i gradini delle scale e guadagnare lo spiazzo all’aperto come una meta ambita.

«Ciao Laura, puntualissima, come sempre!», disse John che era lì ad aspettarla da qualche minuto, felice e festante.

«Ciao.  … puntuale per che cosa?», gli chiese disorientata.

«Non mi dire che ti sei dimenticata del nostro appuntamento?!», le rispose, restituendole una smorfia di delusione.

«Oh! Scusami, è che avevo la testa presa da altro. Oggi … tu non sai cosa mi è successo», disse agitata e mortificata, tentando di giustificarsi.

John, cambiò di nuovo espressione: prima allarmato, poi rasserenato provò a calmarla: «Ho sentito qualcosa durante l’intervallo … ».

 «Non so cosa mi stia succedendo, è un po’ di tempo che accadono cose strane, soprattutto ho delle insolite sensazioni. All’inizio pensavo fosse Violet che voleva avvisarmi di qualcosa, ma le sensazioni che percepisco sono brutte … ho avuto paura», confidò con apprensione a John, che mise insieme i pezzi: quello che aveva letto durante la notte e le voci sentite fino a poco prima, a cui non aveva dato la giusta importanza. Come di colpo gli si apriva un mondo, troppo grande anche per lui.

«Ehi, John! Sono io che ho avuto paura, che hai? », si preoccupò Laura, davanti al suo viso frastornato.

Due colpi di clacson e Laura si voltò verso il padre che la salutava con la mano dalla macchina.

 «Ok, John, io devo andare, più tardi ci vediamo», disse, dovendo cambiare discorso.

«Certo, ti cerco io», capì perfettamente l’amico.

«Bene allora, ciao», e attraversò la strada, lasciando John sul marciapiede nel suo silenzio.

Cecile Caravaglios

To be continued

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