Muriel

Muriel

Con premessa e prologo, diverse sono le aspettative da evocare, iniziano le pagine di un romanzo fantasy e non solo, costellato di episodi dentro una trama terrestre celeste e sorprendentemente allegorica. L’autrice Cecile Caravaglios ha scelto la Via dei racconti per la sua opera prima.

Premessa per lettori attenti

Chiara Di Rosa

Laura si lasciò cadere sulla sedia, pensierosa e confusa per la scoperta fatta in biblioteca; si alzò, fece spazio sulla scrivania spostando i libri di scuola, si sedette di nuovo e pose davanti a sé l’orchidea chiara di rosa, prelevandola con accuratezza dal volume che la chiudeva.

Rimase lì ad osservarla, quasi ad interrogare in silenzio i suoi petali, con i gomiti puntati sulla scrivania e il mento poggiato sui pugni sotto a sostenerlo, creando con gli avambracci una nicchia sacra, a protezione di quel fiore, per lei diventato già tanto importante.

 C’era mistero in quel fiore assopito; dal suo secolare silenzio, parlava con la pacata insistenza del suo profumo. Non erano parole da decifrare, ma emozioni da scovare, piantate nella verità di un tempo passato e forse recuperabile, desideroso di farsi conoscere, con questi primi indecifrabili segnali.

Chi poteva averla posta tra le pagine di quel libro secolare? E quale libro preserva la freschezza di un fiore nel tempo? Laura sciolse la sua posa per prendere il fiore e adagiarlo sul cavo di una mano, osservarlo più da vicino. Non poteva tenersi tutto per sé e voleva andare a fondo. Rimise il fiore sulla scrivania e, rilassando sullo schienale della sedia le spalle, rimaste fino ad allora contratte, fece a mente, con un click delle palpebre, una foto dei suoi inseparabili amici, sussurrando a fior di labbra: Violet.

Prologo

Verso Quarto d’Altino

Cinquanta milioni di anni fa, nel cuore dell’Asia, fra le acque del Tigri e dell’Eufrate, due uomini procedevano in silenzio. Con passo leggero sfioravano appena la terra disseminata di arbusti e cespugli. Si erano inoltrati in una delle tante foreste che ricoprivano quei territori. La vegetazione fitta impediva loro di muoversi con disinvoltura, sebbene le loro figure fossero chiaramente evanescenti. Dopo aver camminato per un po’, senza proferire parola, uno dei due si fermò e socchiudendo gli occhi, focalizzò lo sguardo verso un punto lontano.

«Guarda, Raffaele, una luce!  Puoi vederla anche tu?».

 «Sì, Michele! Siamo arrivati a destinazione».

Si guardarono e in silenzio proseguirono lasciandosi guidare da quel sottile filo argenteo. Si fermarono nei pressi di una piccola radura, e si sedettero alla meno peggio sull’umido piano erboso, in attesa dei fratelli.

La notte giunse srotolando un sipario di stelle a loro tanto familiare, da cui si fece lentamente largo un disco iridescente, diretto verso il centro della radura con la sua massa di luce fulgente. I due viaggiatori si alzarono per assistere all’atterraggio del cerchio luminoso, che occupò quasi tutta la piana, in un gioco continuo di colori ora forti, ora tenui, ora psichedelici. Da uno degli sportelli laterali scesero delle figure anch’esse splendenti, bellissime e somiglianti a loro. Le videro avanzare su una pedana apposita sganciatasi dall’astronave e, notando il piccolo luminosissimo scrigno tenuto fra le mani di una di loro, sentirono un forte calore nel petto. Non persero tempo e leggeri come il vento si trovarono a un passo da loro.

«Salve, Gabriele, Uriel!», esclamarono pieni di gioia.

 «Salute a voi, Michele, Raffaele!», risposero gli altri, carichi di amorevolezza. Gabriele sfiorò il cofanetto, ora brillante come smeraldo, e consegnandolo ai suoi interlocutori disse: «Questo è il seme che racchiude le emozioni di chi rifiutò l’Altissimo come Unico e Solo Creatore dell’universo».  Michele allungò le braccia e prese il cofanetto tra le mani. «Mi raccomando siate prudenti». «Non ti preoccupare, fratello: sarà fatto come ci hai detto». Lo passò a Raffaele, che lo ripose con cura nella sacca di pelle che portava a tracolla. I due s’inoltrarono nuovamente nella foresta, cambiando la direzione dell’andata: non più a Sud-Est ma a Nord-Ovest, verso un luogo chiamato Quarto d’Altino.

Non si sa quanto durò il loro viaggio, ma un salice piangente crebbe dove i due personaggi piantarono il seme del bene e del male. Vortici di arcobaleni cangianti, allargati e poi placati da un vento celeste, distribuirono intorno case, viali, storie e pilastri del Tempo. Quegli uomini rimasero di casa a Quarto, segnando il tempo con le loro ali d’angelo spalancate sul cielo.

Cecile Caravaglios

To be continued

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